Da
Torino a Parigi, progettando attentati, passando per la frontiera di
Bardonecchia o di
Ventimiglia. Con periodi di permanenza, o preparazione, a
Ulzio, Chiavari, o qualche paesino delle province di
Cuneo o di
Vercelli. Volevano ricreare anche in
Italia una cellula del noto e temuto gruppo islamista
“Gabar”, i quindici pakistani (alcuni arrestati a giugno, altri ricercati) accusati dalla
Dda di Genova di terrorismo internazionale. Fondamentalisti islamici, gli affiliati al gruppo sarebbero stati in contatto con l’attentatore che nel settembre del 2020, a
Parigi, ferì due persone, armato di machete, sotto alla ex redazione della rivista
Charlie Hebdo, al centro di un primo gravissimo attentato che nel 2015 provocò 12 morti.
I 15 pakistani - di cui uno, difeso dall
’avvocata Nadia Di Brita, è ristretto nel carcere di
Alessandria - sarebbero entrati in
Italia illegalmente negli ultimi tre anni. L’obiettivo del principale indagato,
Yaseen Tahir, sarebbe stato quello di creare in
Italia una cellula di terroristi pronti a «combattere la jihad» pianificando attentanti nel nostro Paese, in
Francia, Spagna o Germania, tutti stati in cui il
Gabar conterebbe schiere di seguaci. Nel 2020 i giovani pakistani entrano in
Italia passando dall
’Est. Si trasferiscono in città del
Nord e del
Centro Italia. Ma non stanno mai per troppo tempo nella stessa.
Nelle carte dell’ordinanza che ha fatto scattare gli arresti dello scorso giugno si leggono
Reggio Emilia, Torino, Bari, Brescia a Trieste. I pakistani si tengono in contatto con i social. Su
TikTok, Facebook, Youtube e WhatsApp, compaiono video e foto che inneggiano alla violenza. Molti like e cuori vengono postati sotto ai video dell’attentato di
Charlie Hebdo del 25 settembre 2020. L’attentatore arrestato,
Zaheer Hassan Mahmood, come comprenderà l’Antiterrorismo, è legato ad alcuni dei 15 indagati, a partire da
Tahir, che, con tunica e turbante nero, compare in molti video in cui ostenta armi inneggiando alla violenza.
La cellula nasce formalmente nel 2021. Obiettivo, reclutare sodali, da nascondere in quello che chiamano covo, a
Fabbrico (Reggio Emilia), o a Chiavari, in Liguria. E i “sodali” spesso arrivano da altri paesi: ecco perché la frontiera di
Bardonecchia, e i paesi della
val di Susa, diventano basi d’appoggio importanti. Il giorno prima dell’attentato parigino, uno dei principali indagati viene intercettato a
Torino. «Qui in
Francia ci viene mancato di rispetto nei confronti del nostro profeta Maometto», una delle frasi criptate registrate dagli investigatori, che si concentrano in particolare sul presunto capo della neo cellula,
Tahir Yaseen, in costante ricerca, sui social, di proseliti per pianificare - secondo la tesi dei pm - attentati.
Tahir nel 2015 arriva a
Chiavari. Nel 2017 ha lo status di rifugiato politico. Nel 2019 è indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché trasporta immigrati in
Francia passando dal
Frèjus. Ma non va in carcere e prosegue con l’attività sui social: si incappuccia, e fa video mimando il taglio della gola. Lo si vede ripreso anche con l’attentatore di
Parigi. Accomuna gli indagati, scrive il gip di
Genova, «l’avversione verso il mondo occidentale, e verso chi, in particolare, osa essere blasfemo verso
Maometto». «Sono gelosi di noi, prepariamoci, non dobbiamo perderci tempo, dobbiamo insegnargli a stare a bada, perché molti sono abituati a prenderci a calci», una delle frasi intercettate poco prima che venisse messo in atto il secondo attentato contro
Charlie Hebdo.
E
Tahir, il giorno prima, si trova a
Ulzio. E’il 24 settembre 2020. Da qui si sposta poi a
Ventimiglia, e le sue tracce si perdono. Alcuni giorni dopo, viene registrato mentre, al ritorno dalla
Francia, passa da
Bardonecchia. L’anno dopo, il 22 febbraio 2021, viene fermato alla stazione di
Parigi con una lama di 40 centimetri. Arrestato in
Francia, viene riaccompagnato in
Italia dove ha lo status di rifugiato. Anche un altro indagato, quel 24 settembre è a
Bardonecchia, e viene ripreso con altri due connazionali mentre attraversa il traforo. I tre vengono intercettati poi dopo, quando, la sera del 25, si separano, e si dividono tra
Lecco, Seregno e Bordighera.
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C’è una foto, che il gip riporta in ordinanza, considerata molto importante: ritrae alcuni degli indagati, sotto la
Tour Eiffel, due mesi prima dell’attentato del 2020. E’ il mese di luglio e sui social, sotto all’immagine, qualcuno scrive: «Abbiate un po’ di pazienza. Ci vediamo sul campo di battaglia». A posteriori gli investigatori collegano i fili degli spostamenti. Otto mesi dopo, scatteranno le manette per tutti.