Tolti dalle mani dei mafiosi da anni e anni. Ma ancora vuoti, abbandonati, inutilizzati: sono 793 dei 1034 immobili confiscati definitivamente alla criminalità organizzata in Piemonte, stando all’ultima rilevazione di Libera, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti per lottare contro le mafie. Una guerra che sembra persa, stando ai numeri: praticamente tre immobili su quattro sono ancora senza destinazione. «C’è una debolezza strutturale dello Stato nei confronti delle mafie: lungaggini burocratiche, disordine normativo, competenze non sempre adeguate - non si nasconde don Ciotti - Non possiamo permettere che tutto questo si traduca in un messaggio pericoloso: cioè che sia tutto un bluff, uno specchietto per le allodole, nient’altro che un giocattolino per illudere gli onesti».
Come funziona
Tutto cominciò negli anni ‘80 con la legge RognoniLatorre, che istituì il reato di stampo mafioso e autorizzò a “colpire” i boss nelle loro proprietà. Pio Latorre è poi stato ucciso ma da allora cominciarono le prime confische, partendo dalla presunzione che quegli immobili siano stati costruiti o acquistati con fondi illegali. Però ci è voluta una petizione popolare di Libera e la legge 109 del 1996 per consentire il recupero di ville e alloggi a fini sociali. Intanto è stata creata l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). Ma non è facile ottenere risultati: basta guardare il Geoblog di Libera Piemonte, la cartina con cui l’associazione mostra condizioni, caratteristiche e storia di ogni singolo immobile confiscato alla criminalità organizzata (basta consultare il suo sito internet).
Il caso piemontese
Con 1.034 particelle catastali sequestrate o confiscate, il Piemonte è la settima regione d’Italia per numero di beni sottratti alla mafia, la seconda al nord. Però è al fondo della classifica per tasso di destinazione: 23% contro il 41% nazionale. Il dato migliora se si restringe il quadro alla provincia di Torino, dove “solo” 346 fra ville e alloggi sono vuoti (il 66% dei 517 totali, circa due su tre). Se si guarda solo alla città, però, il problema precipita: sono utilizzati 31 immobili sui 165 complessivi, circa il 20%. La stessa Libera ammette che non è facile trovare una soluzione. Anche perché il 45% di questi beni sono terreni ed è difficile riuscire a riutilizzarli per scopi sociali.
Come risolvere
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Forse bisogna ampliare le possibili destinazioni d’uso? Oggi ville e palazzi dei mafiosi possono diventare case per chi è stato sfrattato, sedi di associazioni o attività agricole, servizi sanitari, accoglienza per migranti o donne vittime di violenza. Eppure la stragrande maggioranza resta vuota: «Mancano i fondi, la comunicazione e il coordinamento - motiva Maria Josè Fava, presidente di Libera Piemonte - Poi c’è il problema del radicamento della mafia, dovuto a sottovalutazioni, omissioni ma anche omertà, paura e collusioni». Di recente l’associazione ha lanciato il progetto Beni confiscati in Rete per sensibilizzare, fare formazione e accompagnare nel percorso di riutilizzo. Libera propone un bando annuale per il recupero e il riutilizzo dei beni confiscati, utilizzando i Fondi strutturali europei: «Nel frattempo bisogna spingere sui Consorzi di Comuni e sulla collaborazione tra associazioni, in modo da superare il problema della mancanza di risorse economiche e umane».
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