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LA DIVINA SI CONFESSA

Federica Pellegrini al Salone: «Sono una stronza? So io quanto ho faticato per vincere»

Oggi all'Oval la campionessa presenta il suo libro "Oro", tra vittorie, disturbi alimentari, istinto di lotta, il vuoto dentro

federica pellegrini

«Io sono l’unica a sapere che sacrifici ho fatto per ottenere quei risultati. Io ero il lupo. Cosa ne sapevano gli altri, chi aveva vissuto anche solo la metà di quello che avevo vissuto io? Questo fa di me una stronza?». Federica Pellegrini non è un personaggio facile da capire: campionessa indiscutibile, ma personalità complessa, che sconta l'antipatia da parte di chi non perdona il successo forse. O sconta l'essere divenuta attrazione mediatica al di là degli ori, delle vittorie, dei record: gli amori complessi, le rivalità, oggi l'onnipresenza nel gossip. Ma per Federica è giunto il momento di svelarsi per quella che è.

Si intitola "Oro" (La nave di Teseo, 20 euro) l'autobiografia che presenta oggi, al Salone del libro, alle 18.15 nella Sala Oro dell'Oval. Una autobiografia schietta, al di là delle vittorie, per l'appunto. Ma che non può non partire, fin dal titolo, da quel momento: «Quando vedo il tabellone prendo a schiaffi l’acqua della piscina: sì, stavolta ce l’ho fatta! Incrocio lo sguardo di Alberto e scoppiamo a piangere come due scemi. Oro e nuovo record del mondo, 1’54’’82».

«Le gare - racconta - non sono mai state una passeggiata per me, ma quella lotta all’ultimo respiro io la cercavo. Se capivo di dover entrare in acqua e combattere alla morte, l’adrenalina mi scorreva ed ero felice. La condizione ideale per gareggiare era sentirmi un animale braccato. La sera prima di una gara quasi non mangiavo. Era la tensione, certo, ma anche un modo di prepararsi all’assalto, come il lupo che prima di andare a caccia per affrontare la lotta digiuna, dimagrisce». I disturbi alimentari confessati tempo fa, la fragilità a nudo, il prezzo da pagare per essere atleta di livello mondiale? «La fame o l’inappetenza non erano solo forme nervose, ma manifestazioni di un atavico istinto al combattimento. All’inizio, quando ero solo una ragazzina, mi sentivo un vuoto dentro che riempivo con le vittorie, ma dopo un po’ non era più quello. Da un certo punto in poi l’ho fatto solo per me stessa. Mi chiedevano a chi volessi dedicare le mie vittorie. Le più difficili, quelle che arrivavano dopo periodi duri, quelle delle rinascite le ho dedicate tutte a me stessa».

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