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Il triste record secondo la Cgia di Mestre
26 Agosto 2023 - 14:30
Borgo San Paolo, a Torino: lungo la via costellata di serrande abbassate per le vacanze, ce n'è una con un cartello particolare, dice "Non so quando riaprirò, non disturbate i vicini per chiedere. Grazie". E' la resa di un calzolaio, un anziano "ciabattino" come si definiva lui stesso che, per problemi di salute, ha dovuto arrendersi. Stessa cosa ha fatto il sarto sul corso poco lontano, qualche anno fa, un vecchio specialista di ago, filo e forbici che aveva tante copie di TorinoCronaca nei camerini. Ma da Borgo San Paolo ci si può spostare ovunque in città, o in provincia, o nei piccoli centri della regione: la realtà è che tanti, troppi artigiani stanno sparendo. Se Vercelli è quella che in tutta Italia ha avuto la perdita più significativa in percentuale (il 27%), Torino è la provincia con il numero di botteghe perse più alto d'Italia, 18.075 artigiani spariti in un decennio.
I dati sono del rapporto della Cgia di Mestre, vero osservatorio dello stato di salute delle imprese in Italia: per capire l'impatto dei numeri torinesi, basta pensare che nello stesso periodo Milano ne ha persi 15.991, Roma 8.988, Verona 8.891, Brescia 8.441. In tutto il Piemonte sono 38.150, a fronte delle 60.412 della Lombardia, le 37.172 dell’Emilia Romagna e le 37.507 del Veneto, dove il "Miracolo del nord est" è ormai un lontano ricordo. In tutta Italia gli artigiani spariti sono oltre 325mila.
Una discesa costante, spiega il rapporto della Cgia, "solo nel 2021 la platea complessiva è aumentata, seppur di poco, rispetto all’anno precedente. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Inps, nel 2022 contavamo 1.542.2991 artigiani. Possiamo quindi affermare che non solo i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore, ma anche chi ha esercitato la professione per tanti anni e non ha ancora raggiunto l’età anagrafica e/o maturato gli anni di contribuzione per beneficiare della pensione, spesso preferisce chiudere la partita Iva e continuare a rimanere nel mercato del lavoro come dipendente". Questo, per i più fortunati: impossibile calcolare il numero di chi finisce assorbito dal "sommerso", ossia il mondo del lavoro in nero dove tantissimi sono gli ex artigiani, anche in età da pensione.
Città più insicure
"Anche il paesaggio urbano sta cambiando volto - prosegue il rapporto della Cgia -. Sono ormai ridotte al lumicino le botteghe artigiane che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti, tappezzieri, etc. Attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare, che hanno contraddistinto la storia di molti quartieri, piazze e vie delle nostre città, diventando dei punti di riferimento che davano una identità ai luoghi in cui operavano".
E questo può tradursi in questioni di sicurezza, non soltanto di conti economici: "Sono tantissime le insegne che sono state rimosse e altrettante sono le vetrine non più allestite, perennemente sporche e con le saracinesche abbassate. Sono un segnale inequivocabile del peggioramento della qualità della vita di molte realtà urbane. Le città, infatti, non sono costituite solo da piazze, monumenti, palazzi e nastri d’asfalto, ma, anche, da luoghi dove le persone si incontrano anche
per fare solo due chiacchiere. Queste micro attività conservano l’identità di una comunità e sono uno straordinario presidio in grado di rafforzare la coesione sociale di un territorio. Insomma, con meno botteghe e negozi di vicinato, diminuiscono i luoghi di socializzazione a dimensione d’uomo e tutto si ingrigisce, rendendo meno vivibili e più insicure le zone urbane che subiscono queste chiusure, penalizzando soprattutto gli anziani. Una platea sempre più numerosa della popolazione italiana che conta più di 10 milioni di over 70. Non disponendo spesso dell’auto e senza botteghe sotto casa, per molti di loro fare la spesa è diventato un grosso problema.
Le cause del crollo
Il forte aumento dell’età media, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno spinto molti artigiani a gettare la spugna. I consumatori, inoltre, hanno cambiato il modo di fare gli acquisti. Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta, preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatte su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on line o preso dallo scaffale di un grande magazzino.
Artigianato non è serie B: serve formazione
"C’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale - avverte la Cgia -. L’artigianato è stato “dipinto” come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b"
C'è chi sta invece vivendo una fase di espansione, si tratta dei settori del benessere e dell’informatica. Nel primo, ad
esempio, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. Purtroppo, l’aumento di queste attività è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell’artigianato storico.
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