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Medicina

«Un vaccino anticancro entro il 2027. Ma all’inizio non sarà per tutti»

Il professor Guido Forni ospite di dumsedafe: "Ecco come funzionerà"

Da sinistra, Piero Gola e Guido Forni

Da sinistra, Piero Gola e Guido Forni

Ci sono svolte storiche destinate a cambiare il corso dell’umanità una volta per sempre. E sentir parlare di vaccini contro il cancro, per di più calibrati sulle esigenze di ogni singolo paziente, è un po’ come sentirsi parte, seppur nel ruolo di semplici spettatori, di una svolta epocale. A una condizione: che la voce sia autorevole. Ecco perché coloro che ieri hanno partecipato al consueto pranzo del lunedì del movimento di opinione dumsedafe possono considerarsi privilegiati. Perché a far scorrere le slide che spiegano in maniera semplice, e chiarissima, cosa siano i vaccini in generale e cosa possano essere «fra tre o quattro anni» quelli contro i tumori, c’è il professor Guido Forni, immunologo, già ordinario dell’Università di Torino e rappresentante per l’Italia al Consiglio Scientifico dell’Iarc, presso l’Oms, membro dell’Accademia dei Lincei.

Uno di quelli che per scriverne il curriculum (con i titoli di oltre 200 pubblicazioni) non basterebbero quattro pagine. Forni - dicono i suoi lavori - è un precursore nella ricerca sull’immunologia del cancro, antesignano nello sviluppo dei vaccini contro i tumori. «Che grazie alla tecnologia imparata con la (e non il, ndr) Covid, si possono creare in maniera personalizzata, in tempi così brevi da interferire con la storia clinica del paziente». I dati preliminari di questi studi «sono molto buoni, ma sono ancora del tutto preliminari». Eppure «è possibile che fra tre o quattro anni questa possa diventare una nuova forma di terapia». Una vera e propria rivoluzione. Che all’inizio sarà «a pagamento, riservata ai ricchi». Ma poi, come è stato per ogni innovazione della scienza e della medicina ci si augura possa diventare disponibile per tutti.


Così è stato per gli altri vaccini. «Che non sono un antidoto - precisa Forni -, non sono un siero, nè anticorpi». I vaccini, se mai, «sono un addestramento, una ginnastica specifica del sistema immunitario». E «dopo l’addestramento, spesso, il nostro sistema immunitario può diventare così efficiente nel combattere un’eventuale invasione da rendere la persona immune». Attenzione però: «Chi combatte contro l’invasore non è mai il vaccino, ma il sistema immunitario». Attraverso i linfociti. «Da un precursore - spiega il professore - prende origine un clone numeroso di linfociti effettori che reagiscono con precisione contro l’invasore, uccidendo, producendo anticorpi, guidando un’infiammazione più specifica ed efficiente». Così, se è vero che il sistema immunitario è, di per sè, molto efficace, «l’addestramento che consegue alla guarigione o alla vaccinazione può renderlo 10, 100 o 1.000 volte più efficace. Come fa la ginnastica coi muscoli, così questo addestramento aumenta la dimensione della reazione, la sua precisione e la velocità con cui viene attivata». Rischi? «I vaccini - spiega Forni - possono essere pericolosi, ma la ginnastica forse lo è di più».

In ogni caso, «un vaccino è accettato o rifiutato in base al rapporto rischio/beneficio, in un rapporto che cambia continuamente». E una tecnologia che, con la pandemia, ha fatto passi da gigante. «Di fronte all’arrivo improvviso della pandemia - ricostruisce Forni -, la messa a punto di 30 vaccini in 12 Paesi del mondo, ha evidenziato l’eccezionale capacità dell’intelligenza tecnologica umana. E in meno di 800 giorni dall’isolamento del virus, è stata attivata la più grande campagna vaccinale che sia mai stata realizzata, salvando oltre 30 milioni di vite». L’aggiornamento, finita l’emergenza prosegue, mutazioni e vaccini continuano a rincorrersi, come in una “guardia e ladri”. «Ma questa corsa ci insegna a creare rapidamente nuovi vaccini, tanto da poter averne non solo di sempre più efficaci, ma anche personalizzati».

E qui veniamo al cancro. Con una data da cui parte tutto: il 1907. In quell’anno, Peul Ehrlich, comprende due cose: «Che i tumori possono essere riconosciuti dal sistema immunitario. E che si può vaccinare contro i tumori, come ci si vaccina contro i microbi». Da allora, per 111 anni, però tutti i tentativi di trasformare quest’ultimo principio in realtà ottengono risultati modesti, oppure falliscono miseramente. Il motivo lo rivelano Tasuku Honjo e Jim P. Allison, che, nel 2018, conquistano il Nobel con questa scoperta: per svilupparsi dentro il nostro organismo, il tumore espone segnali che dicono al sistema immunitario: “Me non mi devi uccidere”.

«Se si bloccano questi segnali negativi, però, il tumore viene combattuto dal nostro sistema immunitario e i vaccini funzionano». E questo «sta cambiando il nostro rapporto dal punto di vista terapeutico con il tumore». Spiega Forni: «Dopo la diagnosi, la prima cosa che viene fatta è la biopsia, per capirne le caratteristiche istologiche, a cui negli ultimi anni si è associata analisi genetica, che identifica che cosa ha di strano questo tumore».

Un’informazione fondamentale. «Che può aiutare a creare vaccini che aiutino il sistema immunitario a riconoscere questa anomalia. E a questo punto, con la messa a punto di anticorpi che nascondono i segnali che dicono “me non mi devi uccidere”, trattando con questi anticorpi monoclonali, il tumore può essere aggredito dal sistema immunitario e il paziente può essere vaccinato contro il proprio tumore». Una svolta epocale. E un intervento, quello del professor Forni, che si potrà vedere in versione integrale sul canale Youtube di dumsedafe su cui è stato caricato, tra gli altri, il video dell’incontro organizzato da Piero Gola con il sindaco Stefano Lo Russo del 10 ottobre.

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