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La mappa dei covi della criminalità organizzata
08 Ottobre 2025 - 06:44
Da Minotauro in avanti, l'offensiva della legalità
I nomi sono sempre gli stessi, non quelli dei boss, ma delle famiglie di ‘ndrangheta che da decenni hanno affondato i loro artigli sotto la Mole. E sempre le stesse sono le attività economiche che le locali della mafia calabrese riescono a controllare. Il Caat, come ci riporta la cronaca di oggi non ne è indenne, come in passato. I mercati generali sono sempre stati nel mirino delle locali, perché crocevia di svariati interessi: non solo delle attività commerciali tout court, ma come luogo di transito dell’autotrasporto pesante e ambiente nel quale individuare la manovalanza da destinare all’organizzazione criminale. Solo negli ultimi anni, proprio la Guardia di Finanza di Torino, ha fermato i numerose occasioni Tir che trasportavano frutta e verdura, ma anche cocaina nascosta nei cassoni tra banane, mele e angurie. Autoarticolati bloccati dalle Fiamme Gialle in Tangenziale, nel parcheggio del Sito o in altre aree di servizio intorno alla città.
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Nel corso degli anni, dall’operazione Minotauro in avanti, i magistrati hanno scritto migliaia di pagine per ridisegnare la mappa della più potente organizzazione criminale. Riti, investiture, attività malavitose e quant’altro. Prove, considerazioni, intrecci organici che offrono uno spaccato della ’ndrangheta in Piemonte. Attualmente in regione sarebbero presenti e agirebbero ben 52 famiglie mafiose, 8 in Valle d’Aosta. Solo a Torino e nel suo hinterland, sarebbero stati individuati 33 gruppi criminali. In città e provincia la ’ndrangheta trova storico riferimento nella cosca di Gioiosa Jonica rappresentata dalle famiglie Ursini, Belfiore e Mazzaferro. A Orbassano sarebbe presente un gruppo al servizio della famiglia (allargata) di Rocco Presti (scomparso da tempo), legata alla cosca Raso-Gullace-Albanese di Cittanova. A Chivasso è attivo, secondo i magistrati, il clan degli Ilacqua che ha ramificazioni in Lombardia e Liguria. A Leinì, Volpiano e Brandizzo c’è il clan Agresta, Marando e Trimboli, originari della Locride. A Settimo e Venaria, invece, la cosca più attiva sarebbe la Gioffré-Tripodi di Seminara.
In Canavese sono attive le famiglie Assisi, Forgione, Speranza, Mauro e Mancuso. E fin qui, più o meno lo si sapeva. Ma più recenti operazioni condotte dalle forze dell’ordine hanno messo in luce nomi inediti di boss e famiglie calabresi. Prima degli altri, il gruppo (comunque diviso al suo interno) che ha dedicato gli ultimi anni di attività, nel tentare una riunificazione dei clan e composto dalle famiglie Tamburi, Correale, Cataldo, Catalano e D’onofrio. Poi, una nuova “locale” che sarebbe stata costituita a Chivasso, referente la famiglia Vadalà, titolare di un bar, poco fuori dal centro, all’interno del quale, qualche anno fa fu ritrovato l’arsenale delle cosche. Ma nelle ordinanze dei Gip vengono anche indicate quelle che sono le attività prevalenti dei clan. In questo ambito, rispetto al passato, le ’ndrine torinesi avrebbero subìto un livellamento verso il basso dei loro affari malavitosi.
Quasi completamente fuori dal giro che conta del traffico di stupefacenti, letteralmente soppiantati dalle mafie straniere, ai calabresi resterebbe l’esclusiva, se così si può dire, di estorsioni e racket, sia in città che in provincia. Segno della decadenza criminale è anche l’arrabattarsi in truffe, spesso malriuscite, o in furti da “ladri di polli”. Caso emblematico quello di Carmelo Cataldo, preso mentre rubava alcune apparecchiature di una piccola azienda che aveva acquistato pagandola, però, con assegni a vuoto. Al di là dei pochi nervi scoperti, però, le cosche appaiono più “liquide” e intrecciano relazioni criminali grazie anche al supporto di strumenti informatici che le forze dell’ordine italiane (a differenza di quelle olandesi e francesi) ancora non sono riuscite a penetrare e questa è la sfida investigativa dei prossimi anni.
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