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Economia & Politica

La vigna da 20 milioni di euro, i "corvi": così la crisi di Fondazione Crt finisce in Procura

E il ministero scarica Varese: "Non ci occupiamo di liti nel cda". Oggi nuova riunione: dimissioni o compromesso?

La vigna da 20 milioni di euro i "corvi": così la crisi di Fondazione Crt finisce in Procura

Dai venti milioni di euro al “governo ombra”, il caso Fondazione Crt finisce anche in Procura. E non è che si possa definire un buon viatico per la riunione del Cda di oggi, che dovrebbe servire a ricomporre le fratture, oppure a precipitare la fondazione in un’anarchia che si risolverebbe solo con il commissariamento (anche se così Palenzona si farebbe un altro clamoroso autogol).

Oggi è convocato il consiglio di amministrazione interrotto venerdì sera, quando il segretario generale Andrea Varese ha annunciato le sue dimissioni, dopo essersi sentito messo in minoranza dal consiglio stesso. Il presidente Fabrizio Palenzona ha aggiornato la seduta - che doveva discutere anche di una serie di nomine, a partire dal vertice Ogr per sostituire Maurizio Lapucci - per tentare di ritrovare una compattezza. Ma lui stesso si rende conto di essere in posizione di minoranza. I problemi che vengono rinfacciati al suo uomo di fiducia, infatti, riguardano proprio lui.

Perché al di là della vicenda del consigliere dimissionario dopo essere stato beccato a tentare di formare una fronda interna - e consolato con un posto in un altro consiglio, quello di Cr Asti -, sul tavolo c’è il problema degli investimenti della Fondazione. A cominciare dai 20 milioni per entrare nel capitale di Enosis, un’azienda vinicola-laboratorio fondata dall’enologo-scienziato Donato Lanati. E che si trova a Fubine, in provincia di Alessandria. Praticamente, il praticello di Palenzona. Questi e i 40 usati per entrare nella Banca di Asti sono investimenti che il board contesta duramente: perché decisi in autonomia e, assieme all’investimento in Banca del Fucino, fanno pensare a una strategia finanziaria sempre comunque troppo lontano da Torino. Inoltre, sul tema, c’è stata una fuga di notizie, ed è su questo che Palenzona vuole chiarire. Da qui, gli esposti alla Procura, stando a quanto si apprende da fonti qualificate.

Ma se da una parte abbiamo il (futuro) lavoro dei magistrati, dall’altro c’è quello di una Fondazione dove il vento riporta che Palenzona è «un presidente in smart working», troppo lontano da Torino e dai suoi interessi. E di una frattura da ricomporre. Se Varese rinuncerà a presentare le dimissione, avrà ancora senso andare avanti con un segretario sfiduciato? Anche perché a muovere l’attacco non sono due consiglieri qualsiasi, ma la vicepresidente Caterina Bima, notaio, e Davide Canavesio, che hanno coinvolto anche, Annamaria Di Mascio e Antonello Monti. Quattro su sette.

Gli stessi che vedrebbero di buon occhio anche il siluramento di un altro uomo di fiducia, il senior advisor Andrea Mercuri, dai metodi considerati troppo ruvidi. E quanto a Varese, ieri dal ministero dell’Economia e delle Finanze, cui si era rivolto per chiedere di far luce sulla “fronda” del consigliere Corrado Bonadeo - l’altro punto che ha molto irritato il board -, è arrivata questa risposta: “Il Mef non ha competenza e non si esprime in discussioni interne tra membri del cda” ma “ha un obbligo di vigilanza su aspetti ben precisi come, tra gli altri, il rispetto del bilancio, l’equilibrio finanziario delle fondazioni, il rispetto degli statuti e dei regolamenti”. Dunque, un passo falso non da poco.

Di fronte all’ingovernabilità, a Palenzona restano poche opzioni: accettare di restare “dimezzato” e frenare la sua politica finanziaria extratorinese; dimettersi; rivolgersi al ministero per chiedere il commissariamento della Fondazione. Le ultime due, però, stroncherebbero ogni sua possibilità di arrivare alla poltrona - di per sé già molto vaga - di Cassa Depositi e Prestiti.

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