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LO STUDIO

La grande fuga dei medici: in Piemonte uno al giorno si dimette

"Emorragia Silenziosa": i medici piemontesi in fuga dal Sistema Sanitario Pubblico verso il settore privato

La fuga silenziosa dei medici

La fuga silenziosa dei medici

“Arrivavo in ospedale e mi veniva la nausea. Quasi vomitavo all’ingresso”. A parlare è Silvio, un medico che ora lavora in Francia e sente di poter raccontare liberamente le storture del Sistema sanitario pubblico italiano. La storia di Silvio è solo un pezzo del ben più ampio fenomeno dei medici in fuga. Un'emorragia silenziosa che, in Piemonte, fa sì che un medico al giorno circa decida di dimettersi.  Il tema è stato affrontato durante l'incontro “La fuga silenziosa della sanità pubblica – Le cause e i possibili correttivi”, organizzato dall’Ordine dei Medici di Torino.

 Il fenomeno delle Grandi Dimissioni preoccupa e tocca da vicino anche l’Italia. «Si contano circa 2 milioni di dimissioni volontarie all’anno. Il doppio dei licenziamenti» fa sapere la sociologa e docente Francesca Coin, presentando il suo ultimo libro - “Le grandi dimissioni” all’Ordine dei Medici di Torino. «Il tourn over volontario si interseca con una carenza sempre più significativa di personale» spiega l’esperta. «E un fenomeno che riguarda tutta l’Europa. Nel 2030 si conta che ci ritroveremo con circa 7 milioni di lavoratori mancanti» aggiunge. In dialogo con il vicepresidente dell’Ordine dei Medici di Torino e già Consigliere nazionale Cimo Fesmed Guido Regis, Coin ha cercato di indagare le cause che - sempre più spesso - spingono i lavoratori e lascaire il proprio posto. «Sicuramente molti lasciano per rabbia - spiega -. Dopodiché appare preponderante il tema della morte. E, in particolare, l’idea che il lavoro possa provocare problemi di salute». Tra i sintomi che accompagnano le dimissioni infatti si annoverano aumento del consumo di tabacco, sindromi depressive di vari gradi e ansia. «Per fermare un’emorragia bisogna rispondere alle cause del disagio di chi lavora» ha sottolineato ancora la ricercatrice. 


Le grandi dimissioni in Piemonte
Ad entrare nel vivo del problema è stata Chiara Rivetti, segretaria regionale Anaao Assomed. "Il fenomeno delle grandi dimissioni è iniziato ben prima della pandemia" ha premesso Rivetti, mostrando alla platea un grafico che racconta l'andamento degli organici nelle Asl e sottolineando come "le dimissioni siano aumentate considerevolmente dal 2017-18". Prima risultava un fenomemo sporadico e contestualizzato a situazioni personali. "Durante il periodo del Covid le fuoriuscire si sono ridotte - prosegue -. Anche i sanitari che avevano programmato di andarsene sono rimasti per affrontare l'emergenza".  Fenomeno che si è riflesso direttamente nel 2021, quando le dimissioni volontarie sono nuovamente aumentate.  Nel 2022, poi, il dato è rimasto stazionario. "Questo è preoccupante" spiega ancora Rivetti. "Il 2021 era stato un anno anomalo. Ci si aspettava che la curva scendesse e invece non è andata così. Un medico ospedaliero al giorno decide di dimettersi e lasciare il sistema nazionale sanitario in Piemonte". E dove va? "Su 332 dimissioni  volontarie registrate nel 2022, 292 hanno optato per il campo privato" fa sapere la segretaria. Dal 2015 al 2022 il numero dei medici ospedalieri che scelgono di licenziarsi per cambiare lavoro è cresciuto di oltre quattro volte, passando da 79 a 332.

Scendendo ulteriormente nel dettaglio, risulta che le donne abbandonino il posto più dei colleghi uomini. Si tratta del 53% del totale. "Le donne cercano condizioni che agevolino maggiormente la conciliazione vita - lavoro" spiega l'esperta.  Guardando poi alla distribuzione territoriale del fenomeno, "le Asl di periferia sono quelle messe peggio" sottolinea Rivetti, mostrando una tabella che incorona l'Asl di Alessandria come prima in classica. Segue il Verbano Cusio Ossola. "Qui la presenza di i medici a gettone è fondamentale. Non ci sarebbero alternative per garantire i servizi altrimenti". In questo senso, Torino non svetta in senso negativo. Anzi, appare al di sotto della soglia regionale per dimissioni spontanee. Infine, tra le specialità che maggiormente risentono della tendenza a lasciare il posto ci sono quelle di anestesisti e psichiatri. "Sono circa il 7%, quasi il doppio della media nazionale" spiega ancora Rivetti. "Questo è solo uno dei sintomi che ci fa capire che la psichiatria è un servizio in ginocchio. I medici sono pochi e aumentano le patologie". Il quadro appare chiaro, come l’appello alla politica affinché intervenga al più presto.

Lo studio: "Supporto agli operatori sanitari”
Carico di lavoro eccessivo, scarso riconoscimento, retribuzione non adeguata, tempo sottratto alla famiglia. Sono solo alcuni degli elementi emersi dal documento “Supporto agli operatori sanitari”, una ricerca condotta su oltre duemila sanitari, finalizzata ad analizzarne il benessere. "L’idea e quella che per tutelare il sistema sanitario nazionale bisogna tutelarne i lavoratori. Chi sta male non può lavorare bene" commenta lo psichiatra e psicoanalista Mario Perini, coordinatore gruppo di ricerca. 

Lo studio ha messo in evidenza che la retribuzione non adeguata rappresenta sì uno dei maggiori problemi (in particolare per infermieri, educatori, psicologi, ostetriche) ma nel complesso non è il principale. A provocare malessere e disagio sono in primo luogo il carico di lavoro eccessivo e la sensazione che il proprio ruolo e la propria attività non siano riconosciuti dal sistema in cui operano. Fra i commenti al questionario, vengono segnalati come fonte di insoddisfazione il taglio delle risorse, la burocrazia, l’organizzazione inadeguata, l’inadeguatezza degli spazi di lavoro. Le conseguenze di questa situazione sono stress e patologie correlate, tensioni e conflitti con colleghi e, con una certa frequenza, ansia, depressione e distacco, sfiducia verso qualunque iniziativa, demotivazione che spinge ad allontanarsi dal lavoro, a guardare con curiosità il privato da parte di chi opera nella sanità pubblica. Tutto questo si traduce nel bisogno di supporto nello svolgimento della professione, che però appena il 23% di chi ha risposto dichiara di aver ricevuto o di aver individuato autonomamente.

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