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LA STORIA

La squadra di poliziotti si ritrova 40 anni dopo: «Avevamo paura ma eravamo fratelli»

Hanno affrontato insieme attentati e omicidi di mafia. E si sono riuniti per ricordarli: «Grazie ai tanti colleghi caduti»

La squadra di poliziotti si ritrova 40 anni dopo: «Avevamo paura ma eravamo fratelli»

C’è chi ricorda il riscatto consegnato personalmente per liberare Marco Fiora, il bambino di 7 anni rapito nel 1987: «Era una valigetta con 2 miliardi di lire». E c’è chi non dimentica il collega morto fra le sue braccia: uno dei tanti poliziotti della Squadra mobile o della Digos che, a cavallo fra anni ‘70 e ‘80, hanno affrontato brigatisti, mafiosi e assassini. «Avevamo paura ma eravamo uniti» raccontano questi ex “sbirri” che l’altra sera sono riusciti a ritrovarsi dopo tanti anni. A fare gli onori di casa e chiudere il cerchio, al circolo famigliare Fioccardo, un altro ex poliziotto, Luciano Bagatello.

L’idea del ritrovo è stata dell’ispettore capo Raffaele Maione, tornato apposta a Torino da Napoli: «Ci siamo riuniti da tutta Italia, un po’ come allora». Lo sottolinea anche Nicola Passante: «Arrivavamo dal Sud, dal paesello, e ci siamo ritrovati nella grande città. Eravamo impressionati e rischiavamo la vita ogni giorno. Ma eravamo fratelli e abbiamo fatto il nostro lavoro. E dobbiamo ringraziare il sacrificio di chi oggi non c’è più».

Luciano Bagatello, Raffaele Maione e Nicola Passante

I ricordi di quegli anni difficili, a Torino e non solo, si accavallano uno dopo l’altro. Ad ascoltarli c’è anche l’assessore comunale Paolo Chiavarino, che all’epoca già faceva politica e ha ancora in mente gli attentati e le scorte armate nelle sedi della Democrazia cristiana, possibili bersagli delle Brigate rosse. Maione cita il brigadiere Camillo Flora, ammazzato fra le sue braccia: «Una guardia giurata si era asserragliata in casa e ci aveva sparato addosso. Era il 30 ottobre 1980 e ferì anche il commissario Aldo Faraoni, che poi diventerà questore». All’altro lato del tavolo si racconta la lotta contro la banda Cavallero, dei morti del cinema Statuto, di bombe e omicidi tra clan foggiani, catanesi e calabresi.

I ricordi si susseguono uno dopo l’altro, come i bicchieri di vino. Si ripetono i nomi di Faraoni e di Piero Sassi, celebre capo della Squadra mobile. E tanti ricordano l’ispettore Mimmo D’Alterio, mancato 9 anni fa dopo 40 in polizia. Al suo posto, alla cena di venerdì, c’erano la moglie e la figlia.

Mimmo D'Alterio e Raffaele Maione in una foto d'epoca

«Si è fatto volere bene da tutti, anche se per noi è stato difficile - ricorda la vedova, Lella Crepaldi - Diceva che arrivava alle 2 di notte, poi non tornava. “Aspettami per cena”, poi chiamava dalla Toscana. “Vado in questura” e poi scoprivamo che era a Palermo per il maxi processo. Il suo lavoro era importante almeno quanto la famiglia, infatti nessuno gli credeva quando diceva che sarebbe andato in pensione». In un certo senso, avevano ragione: «Si è fermato a dicembre 1999 ma poi andava in questura lo stesso. E lo hanno richiamato per occuparsi della sicurezza in vista delle Olimpiadi del 2006». E’ stato così anche per tanti altri che hanno vissuto quel periodo così “caldo” per Torino. Una città diversa da oggi: «Avevamo paura ma eravamo felici di essere al servizio dello Stato».

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