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L'INTERVISTA

L’assessore carabiniere scende in campo: «Un nuovo piano per la movida e il "modello Torino" per i grandi eventi»

Dopo la nomina, il tenente colonnello racconta la sua idea di sicurezza per la città

Porcedda

L'assessore comunale alla Sicurezza Marco Porcedda

L’ufficio al Palazzaccio è ancora spoglio. Scatoloni in giro, pochi oggetti personali in vista. «Non sono cose a cui tengo particolarmente. Preferisco stare fuori, sul territorio» spiega il nuovo assessore alla Sicurezza della città di Torino, Marco Porcedda. Il tenente colonnello (in aspettativa) si è preso qualche settimana per studiare i dossier più importante e ora è pronto a partire dal nodo movida.


Assessore ci siamo lasciati dopo la sua nomina con la promessa di rivederci quando fosse stato pronto. Ha studiato?
«In questa prima fase mi sono concentrato su due binari: lo studio dei dossier e le segnalazioni dei cittadini».
E cosa ne è emerso?
«La maggior parte delle segnalazioni ci arrivano dalla zona nord di Torino. Ci raccontano della presenza di spacciatori e degrado generalizzato. È un problema di decoro ma anche di sicurezza percepita per i cittadini».
Di recente il nostro giornale ha organizzato un reportage a Barriera Milano. Nonostante i controlli straordinari, lo spaccio è una piaga che affligge il quartiere. I residenti sono esasperati e i prezzi delle case crollano: cosa si può fare?
«Per quanto riguarda la sicurezza pubblica, i referenti diretti sul territorio sono carabinieri, polizia di stato e guarda di finanza, coordinati da prefetto e questore».
E il Comune non può fare nulla per far sentire più sicuro chi abita in queste zone?
«Stiamo cercando di ottimizzare le risorse e razionalizzare gli interventi del corpo di polizia municipale. Intervenire a supporto delle forze di polizia con il reparto più adatto all’esigenza del momento è un aspetto su cui stiamo lavorando».



Il primo dossier sulla sua scrivania?

«Movida».
Cosa avete in mente?
«Abbiamo messo a punto un paio di idee che ora stiamo iniziando a strutturare, sia con la polizia municipale che con il tavolo provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. D’intesa anche con le forze di polizia, l’idea è quella di realizzare degli interventi puntuali che possano arginare i disagi. È ovvio che la questione movida deve tenere in considerazione tutta una serie di diritti da rispettare: quello al riposo dei cittadini, ma anche quello dei giovani e dei commercianti».
Serve un punto di equilibrio. Quale può essere?
«Non è semplice trovarlo. Altrimenti, mi viene da dire, sarebbe già stato fatto. Questo è il primo anno in cui entra in funzione a pieno regime il nuovo Piano di governo della notte che l’amministrazione ha approvato».
Cosa prevede?
«Una parte importante è il controllo sonoro. Parallelamente, saranno implementati i controlli da parte degli esercizi commerciali: gli steward entreranno subito in azione dall’inizio della stagione».
È anche la prima estate con i Murazzi a pieno regime.
«Sì, la speranza è che con una zona movida “allargata” anche le concentrazioni di persone possano avere un assetto diverso».
Avete in mente un modello a cui ispirarvi?
«Vogliamo creare il modello Torino».
In che senso?
«Voleva essere una battuta, ma è vero che ci sono tante attività fatte a Torino che vengono prese a modello a livello internazionale».
Ad esempio?
«Penso alla gestione dei grandi eventi da parte della polizia municipale. Per il Giro d’Italia abbiamo schierato 130 pattuglie».
Cambiando argomento, entrando al Palazzaccio non abbiamo potuto fare a meno di notare alcuni senzatetto accampati sotto il porticato. Per loro (e per tutti gli altri in giro per la città) c’è un piano di intervento?
«È una situazione certamente figlia di un problema complesso. Si tratta di una partita che va giocata a stretto contatto con i Servizi Sociali che fanno capo all’assessore Jacopo Rosatelli. C’è la necessità di intervenire in modo sinergico».


Dal centro alla periferia. Ha promesso più pattuglie per Mirafiori. Sarà possibile?
«Mirafiori sud è rimasta così orfana di un presidio fisso. Quasi contestualmente si è spostato sia il comando dei vigili urbani, che quello dei carabinieri. Non mi pronuncio sull’Arma, ma per quello che riguarda noi vogliamo fare in modo che almeno un presidio fisso torni in zona».
Una domanda politica. Non è stato ben visto da una certa ala della sinistra il gesto di mettere un militare all’interno della giunta. Di contro, il suo approccio, che possiamo definire moderato, rischia di deludere chi si aspettava “il pungo di ferro” sui temi della sicurezza. Cosa ne pensa?
«Guardi, come forma mentis, io sono abituato a coinvolgere tutti il più possibile. Fino a oggi ho sempre trovato una enorme rispondenza. In ogni caso, sto trovando estrema disponibilità da parte di quasi tutto il consiglio comunale».
Quasi?
«Quasi perché non sono ancora riuscito a conoscere e confrontarmi con tutti. Anche a loro chiedo feedback sulle segnalazioni che ricevono dai cittadini».


Risulta al centro di una indagine giudiziaria. Il sindaco lo sapeva quando è stato nominato?
«Erano situazioni note e analizzate con il sindaco. Ho le spalle larghe. Sicuramente cerco di tutelare la mia famiglia».
Si è pentito di aver accettato l’incarico?
(sorride) «No, perché? È una situazione nuova per me, ma mi sono messo subito a studiare per essere pronto».
Torniamo ai problemi della città. I nostri lettori ci segnalano pochi vigili urbani in strada. “Fanno solo le multe” ci ha scritto di recente una signora.
«Non tutto l’organico della polizia municipale è in strada. Ci sono moltissime incombenze amministrative. E poi non tutti quelli che sono in strada effettuano servizio in uniforme, con la macchina con i colori d’istituto. Molti reparti fanno interventi in borghese che non sempre vengono percepiti dalla popolazione. La comunicazione della polizia municipale verrà implementata».
Ha riscontrato una mancanza di organico quando si è insediato?
«È stata una delle prime ricognizioni che ho fatto e devo dire che ho trovato una situazione rasserenante. Rispetto al resto degli uffici comunali, parliamo di mancanze in termini percentuali veramente basse. Il corpo di polizia conta 1.457 persone, con il 98% di presenze. L’ottimo sarebbe 1.508».
Quotidianamente, all’onore delle cronache, troviamo auto smontate per rivenderne i singoli pezzi. Cosa si può fare per prevenire questo fenomeno?
«Per quel che ci riguarda, potrebbe essere utile una maggiore presenza sul territorio delle pattuglie dei vigili urbani. Ho chiesto al comandante di polizia municipale di adeguare l’attività del corpo proiettandola più verso l’esterno. Lo stesso prefetto sta sollecitando per un maggiore controllo del territorio. Ma sia chiaro: può essere uno strumento in più, non è finalizzato alle auto smontate».


Torino vive una stagione eccezionale di cantieri e appalti legati al Pnrr. Lei ha il compito di gestire le deleghe relative alla Legalità. Come sta andando?
«Stiamo cercando di gestire questa partita nel modo più integrato possibile. Il Comune ha una struttura preparata che lavora in modo indefesso per fare in modo che tutto quanto quadri. A ottobre poi tornano le Giornate della Legalità, gestite insieme all’assessorato alla Cultura. Quest’anno verrà aggiunto un giorno in più. Dal punto di vista della legalità, la speranza più grande ce l’abbiamo nelle nuove generazioni».

Occupazioni. Un grande tema che riguarda le case popolari popolari e non solo. È stato fatto un censimento della situazione attuale?
«Abbiamo fatto il punto con il prefetto e il questore. Gli sgomberi ritenuti più urgenti stanno per essere calendarizzati. Oltre all’intervento in sé serve pianificare con attenzione la risistemazione dei nuclei familiari sgomberati».
E l’occupazione di corso Regina 47?
«La gestione del fascicolo di Askatasuna segue canali diversi da quelle che fanno capo alle mie deleghe».
Qual è la sua posizione in merito al Daspo?
«La mia idea è quella di ricucire e includere. Poi, se serve, dove e quando serve, è uno strumento utile che andrà valutato. Non può esistere un sì o un no a prescindere. Ogni situazione va valutata di per sé».
Un’ultima domanda. Cosa ne pensa dell’utilizzo dell’esercito in aree sensibili della città?
«Se si riuscisse a renderli più elastici dal punto di vista del movimento, riusciremmo ad allargare il raggio di sicurezza che quei dispositivi garantiscono. Insieme al prefetto stiamo cercando di capire come fare. Sono ottimista».

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