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IL REPORTAGE
02 Giugno 2024 - 10:15
Barriera di Milano è un quartiere solo ma ha tante facce: quella del “triangolo dello spaccio”, di fronte alla parrocchia e al mercato, bella grazie alla presenza di poliziotti e militari. Ma c’è anche la faccia dell’ex deposito ferroviario, del “buco”, della piscina e del parco Sempione, affollati di tossicodipendenti a ogni ora del giorno e della notte. Simboli del degrado che resiste in questa fetta di Torino, come i pusher agli angoli delle strade e i vetri spaccati per procurarsi una dose. Nonostante le forze dell’ordine siano in giro di continuo e organizzino almeno un controllo ad “Alto impatto” a settimana.
La droga nel motore
E’ proprio durante uno di questi controlli che si scoprono alcuni aspetti più nascosti, anche se tanti abitanti del quartiere hanno imparato a conoscerli quanto i poliziotti. Basta guardare come Elvis e Joy, i due pastori Malinois del Nucleo cinofilo, impazziscono di fronte a una Volkswagen parcheggiata a due passi dal “triangolo dello spaccio” tra corso Palermo, via Montanaro e via Sesia. Perché, spesso e volentieri, le palline di crack e le dosi di cocaina vengono lasciate dietro le ruote o addirittura dentro le “pieghe” della carrozzeria.
I poliziotti del commissariato Barriera Milano, insieme ai soldati e agli agenti della polizia locale, puntano loro ma anche chi rapina e ruba nei negozi. E cercano anche di far rispettare le regole ai locali e minimarket spuntati al posto delle attività storiche, rimpiazzate da stranieri (come molti residenti).
I “padroni” di Barriera, cioè pusher, ladri e rapinatori, non si fanno vedere mentre le “loro” strade sono perlustrate dagli agenti. Probabilmente sono chiusi nei cosiddetti palazzi dello spaccio, come quello di corso Giulio Cesare 169. Da lì attendono il momento buono per uscire e fare le consegne: a quanto pare, passano tre volte al giorno nei luoghi dove sanno di trovare i loro clienti. Disperati che sono disposti a tutto pur di una dose di crack, che costa appena 5 euro: ci sono “cavallini” che portano altri acquirenti e ottengono un premio, ragazze italiane disposte a prostituirsi, fantasmi che spaccano vetrine e finestrini per accaparrarsi gli spiccioli sufficienti per tirare a campare.
A casa dei fantasmi
Ecco, dove vivono davvero questi fantasmi? Con i cantieri alla Gondrand, si sono spostati di qualche metro: l’ex deposito ferroviario è casa loro, tanto che hanno messo una recinzione per richiudere il varco aperto dalla polizia per entrare più rapidamente durante i blitz. Uno dei tanti paradossi di questa zona: l’altro è che un ragazzone africano entri senza scomporsi sotto gli occhi degli agenti, che lo conoscono bene e lo chiamano Benito. Perché tutti questi disperati sono stati identificati dalle forze dell’ordine, che li fermano di continuo. Eppure continuano a vivere in quel lembo di terra fra via Cigna e corso Venezia. Anzi, adesso hanno scelto come casa l’unico fazzoletto di proprietà del Comune. Che, a differenza di Rfi, non ha ancora sporto denuncia per occupazione abusiva.
Pochi metri più in là, altri fantasmi vivono fra l’ex piscina Sempione e il cosiddetto “buco”, sotto il cavalcavia di corso Grosseto. Lì, dove le auto sfrecciano da e verso il raccordo per Caselle, la polizia ha portato via mucchi di rifiuti e macerie con i trattori. Ora restano qualche sedia, un paio di materassi, una bilancia, un monopattino. E un trentenne del Gabon, che non si alza neanche dal suo giaciglio: «Sono qui da tanti anni e rubo per farmi di crack» spiega fra i denti. Poi si commuove: «Posso solo vivere così, non ho scelta perché ho iniziato con questa merda». Una storia che vale anche per i tossici che affollano il parco Sempione. Sono accampati con tende, ombrelloni, un falò. Italiani e stranieri, uomini e donne di tutte le età, anche una ragazza incinta: «Sarà il mio secondo, la prima me l’hanno già portata via» racconta Stefania, che dorme in strada e non sa chi sia il padre. Poco più in là c’è una ragazza di 20 anni che sembra minorenne: «Sono tossica da 5 mesi, abito fuori Torino e vengo qui tutti i giorni. Prendo il mio “ventello” e torno a casa». Ammette di spacciare ma giura di non prostituirsi: «Non lo farei mai ma prima o poi mi chiederanno qualcosa per darmi la droga. Vedremo, mi frega poco: chissà quanti anni vivrò ancora». Si chiama Chiara: «Scrivilo così, magari, un giorno potrò leggere la mia storia sul giornale e sorridere pensando che sia solo un brutto ricordo».
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