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Il commento
31 Agosto 2024 - 06:10
Qualcuno ricorderà una trasmissione dalle nove alle dieci del mattino a Radio 1 dove due conduttori, un uomo e una donna, con battute stucchevoli infarcite da insopportabili compiaciute continue risatine, complimenti reciproci e miagolii conducevano una sorta di rassegna stampa, senza mai ovviamente una voce difforme dalla loro. La minestra era quotidianamente sempre la stessa: gli ingredienti erano il massimo del livore contro il governo Meloni e i suoi esponenti. Caccia, con lo zelo di poliziotti della virtù di stampo iraniano, a notizie e notiziole di iniziative che gli estroversi conduttori potessero etichettare come di destra o addirittura fasciste.
Cimentandosi, dopo Michela Murgia, in una sorta di scala/classifica, sul modello della scala di Scoville sulla piccantezza dei peperoncini, del contenuto fascista non solo di articoli di giornale, ma delle opinioni di tutte le persone che potessero capitare a tiro di cronaca. Fossero esse conduttori televisivi, attori, intellettuali, casalinghe o camionisti. Insomma una specie di monomania e delirio di antifascismo. Senza mai variare o aggiungere alla minestra qualche diverso ingrediente, tipo le gesta del dittatore comunista Maduro, la grande umanità del leader Supremo della Corea del Nord Kim Jong-Un o le malefatte di molti esponenti nostrani della sinistra.
Dopo qualche tempo, divenuto indigeribile per i radioascoltatori il piatto che propinavano ogni mattina, la trasmissione fu chiusa. Della ridanciana conduttrice non si hanno più notizie mentre il baldo conduttore, con cotanto trascorso di cacciatore di fascisti, è stato chiamato a far parte della corte giornalistica, lato subalpino, di John Elkann. La chiamiamo corte, anche se il re è scomparso da anni, perché un esponente della stessa, ma non vogliamo appellarlo cortigiano, nella serie encomiastica “I 125 anni di Fiat” che esce a puntate sul giornale dell’ ereditiere-finanziere, attribuisce a costui un ruolo e delle capacità che tutte le testimonianze dirette negano. Anzi!
La passionaccia della caccia, si sa, può diventare una smania frenetica specie se benemerente come quella ai fascisti. E gli incidenti, come i cacciatori che credendo di sparare a una lepre impallinano un cristiano, in questo tipo di attività venatoria sono sempre in agguato. Come la Reazione. Il baldo giornalista come “il furente Orfeo arso dal furor dei carmi” infiammato ormai dal sacro, per lui, fuoco dell’antifascismo ha sparato nientepopodimeno che nel mucchio dell’entourage della tennista Jasmine Paolini, fresca medaglia d’oro olimpionica. L’accusa è quella che in quel giro si indossa una felpa nera la cui marca è Decima Legio. Apriti cielo! Non può che essere una marca fascista! Quindi denuncia-commento anche sui social per l’esecrando attentato alla democrazia.
L’allenatore della migliore tennista italiana pubblicizza un marchio rampante (“Decima Legio”) su una bella tuta nera. Riescono sempre a rovinare anche le cose più belle.
— Luca Bottura (@bravimabasta) August 28, 2024
Purtroppo l’odio può accecare e la solerzia talebana volge sempre fatalmente verso l’imbecillità. La Decima Legio era la fedelissima legione di Giulio Cesare e anche sua guardia del corpo. Il marchio della felpa è stato adottato dall’azienda pugliese che la produce senza altri intenti o richiami di tipo politico. Il proprietario della fabbrica, che di cognome fa Cutolo, ha simpatie e ascendenze parentali tutte di sinistra. Ha commentato: “Spero col mio nome che non mi accusino di essere esponente della camorra…”
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