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Lavoro & Società

Ius scholae, a Torino è "straniera" anche una impresa su cinque

Confartigianato entra nel dibattito politico sottolineando la necessità di immigrati per le aziende piemontesi

Ius scholae, a Torino è "straniera" anche una impresa su cinque

La politica discute sullo ius scholae e il mondo dell'impresa fornisce l'assist: perché al momento gli stranieri che diventano italiani sono una risorsa per le imprese che cercano personale. E, soprattutto, adesso a Torino e in Piemonte le imprese artigiane gestite da stranieri sono una su cinque.

A tracciare il quadro è Confartigianato Imprese, tramite il suo presidente Dino De Santis. Che premette che, riguardo lo ius scholae ossia la cittadinanza italiana a chi abbia completato un percorso scolastico, "non è nostro compito entrare nel dibattito politico, ma siamo lieti che l’argomento sia emerso recentemente, perché le imprese hanno un’emergenza, che è quella della manodopera e, allo stato attuale, possiamo confidare principalmente nel lavoro degli stranieri”.

In Piemonte le imprese artigiane gestite da stranieri sono 23.343, ossia "il 20% del totale delle imprese. Molti di questi imprenditori prima erano dipendenti” prosegue Felici. Da Confartigianato si fa notare che nel 2024 la domanda di lavoro per gli stranieri è risultato in crescita, segno evidente che mancano lavoratori italiani. “Non credo sia dovuto al fatto che gli italiani si rifiutino di prestare la loro opera in alcuni settori o in lavori cosiddetti “usuranti” – spiega De Santis –. Ritengo sia più un problema demografico e sociale. L’allungamento dell’aspettativa di vita e l’invecchiamento della popolazione, la bassa natalità, l’immigrazione, sono problematiche che stanno mettendo a dura prova il sistema del welfare e stanno contribuendo ad una crisi insostenibile dello Stato sociale”.

Dunque, scolarizzazione con educazione civica "strategiche per chi vive in Italia. La comunicazione, la conoscenza della lingua, della nostra cultura, ma soprattutto dei doveri e dei diritti sono fondamentali per mettere le basi per una vera inclusione – sottolinea De Santis - Non si può pensare di risolvere il problema della manodopera sfruttando il bisogno delle persone o delle aziende. Le aziende chiedono personale qualificato o da formare, da far crescere e soprattutto che sia inserito e accolto nel team in cui opera e nella società in cui vive".

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