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CARCERE
15 Novembre 2024 - 21:00
SANDRO
Sandro, 61 anni, è un uomo che ha visto la vita da una prospettiva difficile. Cresciuto per strada e poi rinchiuso per oltre 35 anni tra le mura dei penitenziari italiani, oggi si trova al Lorusso e Cutugno di Torino. “Il carcere deve essere rieducativo, altrimenti non serve a nulla”, dice con fermezza, mentre intaglia il legno, trasformandolo in un volto di Gesù Cristo che sarà donato all’arcivescovo di Torino, Roberto Repole. Un gesto simbolico, un atto di restituzione che, per lui, è anche una forma di riscatto.
Sandro sta vivendo un'esperienza di reintegrazione nella società e lo sta fave di all’interno del laboratorio Daccapo di Casa Porta di Speranza, un progetto che offre ai detenuti in regime di semi-libertà l’opportunità di apprendere un mestiere e, soprattutto, di recuperare la propria dignità. Un’opportunità che lui non dà per scontata. “Qui non è solo lavoro, è anche un percorso di accompagnamento. Siamo seguiti da persone che ci credono, che ci danno un’occasione di ricominciare”, racconta, con un mix di gratitudine e determinazione.
Sandro sa cosa farà quando uscirà: “Lavorerò nel sociale. Voglio dare qualcosa indietro, restituire alla società ciò che mi ha dato. Lavorare in posti come questo significa riacquistare dignità”. Il suo desiderio di riscatto non si ferma alla libertà fisica, ma si estende alla possibilità di fare del bene, di contribuire al miglioramento della comunità. Daccapo accoglie una ventina di detenuti l’anno. Le loro creazioni vengono vendute per finanziare il progetto stesso o utilizzate per fini come realizzare i tavoli per il Banco Alimentare. E lui da Daccapo sta proprio bene, ha trovato uno stimolo per le sue giornate.
“Cosa faccio in carcere, chiuso a patire e basta?”
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