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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA
17 Novembre 2024 - 08:30
Chef Luca Andrè del ristorante Soul Kitchen
La prima volta che l’ha assaggiata, non poteva crederci. «Ricordo che rimasi sconvolto. Aveva un gusto che mi ricordava qualcosa. Un sapore di selvatico molto pronunciato». È iniziato così, con un colpo di fulmine che unisce i sapori dell’infanzia al desiderio di innovare, il rapporto dello chef del Soul Kitchen, Luca Andrè, con la carne vegetale stampata.
Chef, ha il profumo della carne. Sa di carne. Ci può spiegare con cosa è fatta la carne stampata?
«Principalmente nasce con tre proteine: patata, soia e grano. La parte grassa è composta di olio di cocco, mentre il colore e l’aroma è data dall’utilizzo di frutti rossi e barbabietola, in alcuni casi».
Cosa le conferisce il gusto ferroso tipico della carne propriamente detta?
«È un elemento che hanno estratto da alcune piante, dopo anni di esperimenti»
La producete voi?
«No, saremmo milionari altrimenti. La carne vegetale stampata in 3d che utilizziamo viene prodotta da una società olandese che si chiama Redefine Meat. La loro idea è quella di creare un prodotto che abbia consistenza, gusto e aspetto della carne, ma che non abbia un impatto sull’ambiente altrettanto nocivo».
Che differenza c’è rispetto alla carne sintetica?
«Beh, iniziamo col dire che la carne sintetica, in Italia, non viene prodotta perchè è illegale. Si parte da cellule animali che vengono coltivate in laboratorio per ottenere dei pezzi di carne. La carne stampata invece parte da prodotti vegetali che vengono lavorati e stampati».
Quanto costa, a voi, un chilo di carne stampata?
«Oggi la pago circa 50 euro al chilo. Due anni fa era più cara».
E al cliente un piatto quanto viene a costare, mediamente?
«Considerando anche il contesto intorno al piatto, vale a dire servizio, preparazione e tutto abbiamo secondi a 26 euro in menù. La porzione che serviamo noi è di 100 grammi. E comunque un “food cost” per un singolo ingrediente molto alto rispetto ad altri piatti».
I torinesi la apprezzano?
«Negli ultimi anni la sensibilità verso la cucina vegana è migliorata molto. Abbiamo molti clienti stranieri che apprezzano la nostra proposta».
Anche Jannik Sinner vi ha richiesto uno speciale delivery pre partita...
«Sì è così. Alcuni membri dello staff di Sinner mi hanno chiesto di preparare delle palline energetiche a base di frutta secca e frutta disidratata per il campione».
E gli sono piaciute?
«Pare di sì. Ne ho preparate in quattro varianti diverse. Ne ha scelte due e mi hanno chiesto di preparargliene ancora. È nato uno “scambio di palline” (ride ndr)».
Anche Djokovic è stato vostro cliente lo scorso anno durante le Atp Finals.
«Sì, Djokovic è vegano ed è venuto a cena da noi l’anno scorso. In questi giorni abbiamo ospitato diversi spettatori delle Finals. Tanti gli stranieri».
Tornando alla carne stampata. Siete stati i primi a Torino a proporla nella carta del vostro menù?
«Siamo stati credo i primi ad averla proposta in Italia. Insieme a un ristorante a Roma che si chiama Impact. Feci una consulenza per loro nel 2021 e fu lì che il titolare me la fece assaggiare per la prima volta. Ne rimasi molto sorpreso, nonostante non fosse stata cucinata in modo particolare. Il mio cervello si è dovuto fermare un attimo per ricordarmi che non era davvero carne».
Lei da ragazzo mangiava carne?
«L’ho mangiata fino a 17 anni, nel 2001. Ventitre anni dopo ho assaggiato la carte vegetale stampata. E’ impressionante come sia rimasta una memoria nelle papille. È stato come quando ti capita di sentire un profumo e di associarlo immediatamente a una persona specifica».
Una domanda che le avranno fatto un milione di volte: ma perchè un vegano cerca con tanta ostinazione il sapore della carne?
«È vero, me lo chiedono sempre. La risposta è in realtà molto semplice: io ho smesso di mangiare carne per motivi etici, non per questioni di gusto. Quindi, se trovo un prodotto che a livello di sapore e di ingredienti mi piace non vedo il problema».
E la questione del nome? C’è chi ritiene che sia sbagliato chiamarla “carne”.
«Sono argomenti che davvero non mi appassionano. Noi specifichiamo sempre carne “vegetale” nel menù. Oppure latte “di soia”».
C’è un piatto che, più di altri, parla di lei?
«Forse il “Milan l’è un gran Milan”. Io sono un brianzolo trapiantato a Torino e quel piatto parla delle mie origini. Sono partito dall’idea di risotto del maestro Marchesi, usando la tecnica di mantecatura col burro acido».
Burro vegetale?
«Naturalmente».
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