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IMPRESE ARTIGIANE
17 Febbraio 2025 - 13:35
Un saldatore - foto di repertorio
Un 2024 nero per chi cerca personale: il lavoro c'è ma non si trovano lavoratori.
Se analizziamo le imprese artigiane in particolare, il Piemonte è tra le regioni più in sofferenza nella ricerca di personale, posizionandosi al quinto posto a livello nazionale. Nel 2024 le difficoltà di reperimento di manodopera sono state pari a 61,7% superiore al dato nazionale. Un dato preoccupante che, considerando il 57,7% del 2023, rivela il peggioramento della situazione.
Il disequilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro si conferma essere una piaga alla quale dover porre rimedio. Le aziende cercano personale, possibilmente specializzato, ma non si trovano candidati. È un bene per la società che i laureati siano in aumento, anche se la media in Italia è ancora tra le più basse rispetto alla media europea, tuttavia le imprese, soprattutto medio-piccole, ricercano figure con altre competenze, più tecniche e manuali.
«Mancano soprattutto lavoratori negli ambienti tradizionali - afferma Giorgio Felici, presidente di Confartigianato Imprese Piemonte - Edilizia, costruzioni, muratori, idraulici, serramentisti e mancano competenze legate alla digitalizzazione. Nelle scuole non si insegna più la cultura del lavoro da 40 anni. Abbiamo bisogno di tecnici, di professionalità e di riqualificare i ragazzi implementando anche il rapporto tra imprenditori e istituti professionali».
In realtà nell’arco di tre anni l’occupazione dei giovani in Italia è cresciuta ad un tasso doppio della media europea. Tra il 2021 e il 2024, ultimi dodici mesi a giugno, gli occupati under 35 in Italia sono saliti di quasi mezzo milione (454mila), pari ad un incremento del 9,2%, un tasso doppio rispetto al +4,6% della media UE e superiore al +4,9% della Francia e al +4,5% della Germania. Esiste però un dato da non sottovalutare, ossia che 1 milione 495mila giovani tra i 25 e i 34 anni al secondo trimestre del 2024 sono risultati inattivi.
Il presidente Felici evidenzia che non è un problema relativo al tipo di contratto offerto al lavoratore. «È un problema sociologico. Essendosi assottigliata la cultura del lavoro, da un lato le famiglie preferiscono parcheggiare i figli all’università, affrontando costi e mancati guadagni nel contemplare la chimera di chissà quale aureo impiego, magari all’estero. Dall’altro lato si percepisce sempre meno il lavoro come fondante della dignità personale. Il lavoro in Italia c’è, è di buona qualità e fornisce ampie opportunità di crescita per chi è volenteroso. Però bisogna darsi da fare. Partire con l’idea di “andare all’estero” è una resa, come lo è il rinunciare ad attuare politiche sociali serie agitando il vessillo dell’immigrazione di massa a tutti i costi che, secondo taluni cantori, sarebbe l’unica soluzione».
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