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Opinioni & Commenti
05 Aprile 2025 - 16:20
C'è qualcosa di irresistibilmente comico e, al contempo, disperatamente tragico, nel modo in cui la sinistra italiana ha deciso di sostituire la rivoluzione con il manuale delle giovani marmotte woke. Non è bastato che le sue grandi utopie, una volta capaci di mobilitare le masse, finissero puntualmente archiviate dalla storia con la sentenza lapidaria della realtà. Non più visioni o progetti di società, giusti o sbagliati che fossero. Adesso bastano le frasi fatte contemplate nella grammatica decretata arbitrariamente dai nuovi sacerdoti della morale dominante, per fare politica, anzi per sentirsi soddisfatti, redenti, assolti da ogni colpa storica o sociale. Serviva un nuovo gioco, un nuovo modo di sentirsi superiori moralmente, di riaffermare la propria virtù senza sforzarsi troppo nel cambiare il mondo: e così arrivò il wokismo, che fa molto rima con antifascismo parola ormai troppo consumata.
Oggi coi canoni dell’ideologia woke la parte più cool della sinistra innerva le sue politiche con il "si può dire- non si può dire". Prendiamo l'esempio della frase del ministro Nordio riguardo ai femminicidi, estrapolata da un ragionamento più ampio in cui si sottolineava la scarsa efficacia delle misure di repressione di questo reato, dopo che sia stato consumato, se non si disarticola e si attenua la presa dei valori da cui origina il reato stesso. E’ inutile puntare tutto sulla repressione dopo il fatto consumato, se prima non si è affrontata la radice culturale della violenza. Poi, per rendere ancora più chiaro il concetto, Nordio osserva come, presso talune culture presenti in specifiche etnie, non si abbia "la nostra sensibilità verso le donne". Culture diverse dalla nostra, culture in cui – terribile a dirsi! – la donna non gode della stessa dignità riconosciuta, almeno teoricamente, da noi. Una constatazione di una evidenza disarmante, quasi inutile, lapalissiana, tautologica, sotto gli occhi di tutti, tutti i santi giorni. Un esempio tra tanti? La vicenda della diciottenne pakistana condannata a morte dalla sua famiglia per aver osato opporsi a un matrimonio combinato. Apriti cielo: è bastato che il ministro Nordio pronunciasse parole chiare e dirette, denunciando un fenomeno tragicamente reale e profondamente radicato, perché immediatamente si scatenasse la solita ondata di indignazione woke da parte dei soliti noti.
Prontamente sono intervenuti i custodi della morale dominante, i guardiani del politicamente corretto, quei giornaloni che hanno smesso di parlare alla gente comune per rivolgersi esclusivamente alle élites urbane, autoproclamatesi guide spirituali del progresso morale. Un'intera schiera di intellettuali, o presunti tali, giornalisti e commentatori pronti a sfoderare l'armamentario di un linguaggio ampolloso e di citazioni improbabili, trascinando perfino la memoria della defunta Michela Murgia, pur di screditare le parole del ministro accusandolo di razzismo e intolleranza. L'accusa di razzismo, ormai brandita come un'arma da chi non possiede argomenti validi, è la prova che questa élite woke ha perso ogni connessione con la realtà concreta vissuta dalle persone normali, costrette a misurarsi ogni giorno con problemi ben lontani da quelli che affliggono i salotti intellettuali.
La verità pronunciata da Nordio non piace perché svela le contraddizioni di un moralismo ipocrita, che preferisce sacrificare sull'altare della propria ideologia ogni accenno di verità scomoda. La cultura woke è una patologia selettiva, altamente contagiosa ma limitata a ristrette cerchie privilegiate rigorosamente di sinistra, impegnate a imporre una grammatica del linguaggio e del pensiero tanto incomprensibile quanto aliena. Non sorprende dunque che la gente comune, spaesata da simili artifici retorici, abbia da tempo voltato le spalle a giornali ormai avvolti nella loro autoreferenzialità. E quando arriva il momento di votare, nel segreto dell’urna, quella stessa gente non ha dubbi: restituisce ai sacerdoti del politicamente corretto una sonora e meritata pernacchia.
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