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IL FATTO
13 Aprile 2025 - 11:25
Da sx dottor Davide Cussa, la paziente, professor Renato Romagnoli
Un’operazione al limite dell’impossibile ha permesso di salvare la vita a una ragazza di 21 anni, grazie a un trapianto di fegato eseguito con una tecnica mai utilizzata prima in Italia. È accaduto all’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino, dove un’équipe multidisciplinare ha impiantato un fegato completamente nuovo senza poter contare sui classici tre “canali” di collegamento – vena porta, arteria epatica e via biliare – resi inutilizzabili da gravi condizioni cliniche pregresse.
La giovane paziente, grande appassionata di Jovanotti – in quei giorni in concerto a Torino – era nata con una grave malformazione delle vie biliari e aveva già subito un primo trapianto a pochi mesi di vita, sempre alle Molinette. Quel trapianto, eseguito dall’équipe del professor Mauro Salizzoni, aveva funzionato per anni nonostante un grave blocco alla vena porta. Ma durante l’adolescenza, infezioni biliari ricorrenti hanno causato una cirrosi che ha compromesso il funzionamento del fegato.
Inserita nel programma nazionale pediatrico gestito dal Centro Nazionale Trapianti, la ragazza ha ricevuto un fegato compatibile donato da un giovane deceduto per trauma in un’altra regione. Quando l’organo è arrivato a Torino, la sfida per i chirurghi è diventata evidente: nel corpo della paziente non c’erano più le connessioni anatomiche standard su cui fare affidamento.
A guidare l’intervento, il professor Renato Romagnoli, direttore del Dipartimento Trapianti e del programma di trapianto di fegato della Regione Piemonte. L’équipe ha adottato una tecnica extra-anatomica rivoluzionaria: l’arteria epatica del nuovo fegato è stata collegata direttamente all’aorta addominale; per sostituire la vena porta si è utilizzata una tecnica chiamata trasposizione cavo-portale, che ha permesso di collegare la vena cava inferiore alla vena porta del fegato donato. Infine, la via biliare è stata unita direttamente a un tratto dell’intestino.
Il trapianto è durato circa 14 ore. In una fase critica, è stato necessario utilizzare per 80 minuti una macchina extra-corporea per garantire la circolazione sanguigna. Fondamentale la collaborazione tra chirurghi, anestesisti, cardiochirurghi e tecnici perfusionisti, in una dimostrazione perfetta di lavoro di squadra.
Oggi, dopo cinque giorni in terapia intensiva e il trasferimento in area semintensiva, la giovane è in buone condizioni e in fase di recupero.
«La nostra Città della Salute si è dimostrata ancora una volta all’altezza delle sfide cliniche più complesse, grazie alla competenza e al coraggio dei nostri specialisti», ha commentato il commissario Thomas Schael. Per l’assessore regionale alla Sanità, Federico Riboldi, «la Regione Piemonte si conferma all’avanguardia nell’adozione di soluzioni trapiantologiche innovative, rese possibili anche grazie alla generosità dei donatori».
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