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Il commento

25 Aprile, ecco perché non esiste una pacificazione nazionale

Ottant'anni dopo, è tempo di guardare alla guerra civile con gli strumenti dell'analisi storiografica

25 Aprile, ecco perché non esiste una pacificazione nazionale

Ottant’anni dopo la fine di una guerra civile atroce, cruenta e ancora gravata da ombre, l’Italia stenta a trovare una vera pacificazione nazionale. Un processo mai realmente compiuto, ostacolato da una narrazione storica spesso parziale, mistificatoria, che continua a dividere anziché unire gli italiani. È tempo di guardare con occhi finalmente sgombri dalle nebbie ideologiche a quegli eventi che segnarono indelebilmente il nostro Paese.

La resistenza, idealizzata per decenni come una guerra di popolo, è stata in realtà un fenomeno molto più circoscritto e controverso di quanto una retorica consolidata abbia lasciato intendere. La descrizione diffusa e retorica dei partigiani, rappresentati quasi sempre come giovani eroici, puri e mossi soltanto da alti ideali democratici, contrapposti a fascisti invariabilmente descritti come brutali e sanguinari, è non soltanto falsa, ma profondamente divisiva.

Si deve ammettere, con serena oggettività storica, che le fila della resistenza erano estremamente composite e non sempre animate da intenti democratici. Al contrario, la componente prevalente fu quella comunista, ispirata non certo dai valori liberali e democratici occidentali, ma piuttosto da Stalin e dall’Unione Sovietica, con l’obiettivo dichiarato di instaurare in Italia una dittatura comunista. Ignorare questo aspetto significa falsificare la storia e impedire una riconciliazione autentica.

È doveroso, altresì, ridimensionare il ruolo militare svolto dai partigiani. Sebbene il loro sacrificio personale e morale non possa essere ignorato né sottovalutato, sul piano strategico-militare il contributo partigiano fu esiguo, spesso simbolico e talvolta irrilevante. Fu decisivo, invece, l’intervento degli Alleati, senza il quale nessuna resistenza avrebbe potuto prevalere militarmente contro le forze naziste e fasciste.

Sul fronte opposto, quello della Repubblica Sociale Italiana, migliaia di italiani e italiane, giovani e meno giovani, fecero scelte diverse, certamente difficili, spesso tragiche, motivate da ragioni etiche, ideali o semplicemente personali. Non si trattava solo di fanatici sanguinari o di criminali, come una certa vulgata continua a sostenere, ma di persone che, giuste o sbagliate che fossero le loro ragioni, meritano oggi una valutazione storica equilibrata e rispettosa. Si tratta di guardare al passato senza lenti deformanti e riconoscere che dietro ogni uniforme e ogni bandiera c’erano esseri umani, con virtù e debolezze, errori e valori. Se non ci si rende conto di questo, continueremo a perpetuare divisioni artificiose e superficiali.

L’Italia ha bisogno, oggi più che mai, di compiere finalmente quel salto culturale che la liberi da una lettura della storia fatta di comodi stereotipi. Il 25 aprile, giorno della Liberazione, non dovrebbe più essere vissuto come occasione di divisione o rivendicazione ideologica, bensì come momento di riflessione collettiva e riconciliazione, capace di riconoscere con maturità e obiettività tutte le pagine della nostra storia, comprese quelle più scomode e meno narrate. La pacificazione non può essere imposta per decreto, né affidata solo a gesti simbolici; essa richiede un profondo cambiamento culturale e la volontà di ascoltare, comprendere e rispettare le ragioni altrui. La vera sfida che attende gli italiani è quella di superare finalmente la fase del conflitto permanente, delle commemorazioni antagoniste, per ritrovarsi uniti nella consapevolezza che tutti gli italiani furono, in qualche modo, vittime di quella guerra fratricida. Bisogna trovare il coraggio di riconoscere le ragioni morali ed esistenziali anche di chi fece scelte considerate oggi dalla storia come “sbagliate”, non per giustificare, ma per capire e superare una frattura che rischia di rimanere insanabile.

Senza questo passaggio, continueremo a tramandare divisioni, alimentando conflitti latenti e strumentalizzazioni politiche. Serve una pacificazione nazionale vera, sincera e definitiva, capace di affermare una visione condivisa della storia nazionale, che guardi avanti con serenità e consapevolezza, senza più demonizzare né idealizzare alcuna parte. Ottant’anni dopo, il nostro Paese non può più permettersi di restare prigioniero di contrapposizioni ideologiche ormai stanche, superate e controproducenti. È giunto il tempo, finalmente, di una pacificazione autentica che rispetti la verità storica e liberi le nuove generazioni dal peso di una divisione che non hanno vissuto, ma che continuano a subire. Soltanto attraverso questo coraggioso esercizio di verità e memoria condivisa sarà possibile trasformare il 25 aprile da ricorrenza divisiva a festa di tutti gli italiani, ricordando il passato non per perpetuare l’odio, ma per coltivare insieme una democrazia realmente consapevole e unita.

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