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IL CASO
17 Maggio 2025 - 11:02
La riapertura delle indagini sul delitto di Chiara Poggi, a quasi vent’anni dalla sua morte, non riaccende soltanto il dibattito sulla ricerca della verità. Porta con sé anche una questione spesso sottovalutata: il costo economico e giudiziario di una simile operazione. Il nuovo filone investigativo, avviato sulla base di una denuncia per stalking presentata nel 2017 dal collegio difensivo di Alberto Stasi – poi trasformata in informativa dei carabinieri – ha richiesto mesi di valutazioni e passaggi istituzionali complessi: dalla Procura al giudice per le indagini preliminari, fino alla Corte di Cassazione, che ha aperto la strada all’attuale indagine della Procura di Pavia.
Da quel momento si è rimessa in moto una macchina investigativa poderosa, fatta di uomini, mezzi, tecnologia e periti. Sul campo sono stati impiegati:
Decine di operatori della protezione civile, polizia municipale e vigili del fuoco, che hanno persino prosciugato un torrente nel tentativo di individuare l’arma del delitto;
Tecnici della Sezione investigativa scientifica (Sis), con personale e strumentazioni provenienti dalle principali caserme milanesi: via Moscova, via Montebello, via Garibaldi;
Consulenti e periti nominati sia dalla Procura che dal Gip, incaricati di accertamenti tecnici: analisi su dispositivi informatici, celle telefoniche, supporti digitali, Dna e profili genetici;
Cinque magistrati del pool di Pavia – il procuratore, il procuratore aggiunto e tre sostituti – distolti da altri procedimenti per seguire il fascicolo legato alla figura di Andrea Sempio, attualmente al centro dell’indagine;
Polizia di Stato, impiegata nel presidio del tribunale durante le udienze e nelle operazioni di ordine pubblico legate all’incidente probatorio.
Secondo una stima prudenziale, solo il dispiegamento di uomini, mezzi e strumenti – tra straordinari, trasferte, attrezzature e consulenze – può facilmente superare i 500mila euro, e in base alla durata delle attività investigative potrebbe oltrepassare il milione di euro.
I costi delle singole voci sono significativi:
Analisi genetiche: tra 5.000 e 50.000 euro;
Perizie medico-legali e balistiche;
Impiego straordinario di personale investigativo e tecnico.
E questo senza considerare l’eventuale fase processuale, che comporta ulteriori spese per udienze, notifiche, difese d’ufficio, periti del tribunale, spese di struttura. Riaprire un caso giudiziario chiuso implica anche un’altra conseguenza, non solo economica ma politica e istituzionale: l’ammissione implicita che una delle due indagini – quella originaria o quella attuale – possa essere stata fallace. Il rischio è doppio: da un lato un errore giudiziario, dall’altro risorse pubbliche spese inutilmente. Non è la prima volta che in Italia si affrontano indagini complesse e costose su cold case o casi controversi. Il caso di Serena Mollicone, ad esempio, ha richiesto perizie sofisticate – come quella sulla porta della caserma di Arce – con un importante impiego di esperti forensi. Nel caso di Elisa Claps, la fase istruttoria successiva al ritrovamento del corpo nel sottotetto della chiesa di Potenza ha comportato accertamenti medico-legali e rogatorie internazionali, sotto la direzione della Procura di Salerno. E nel caso di Yara Gambirasio, la sola attività genetica condotta dal Ris dei carabinieri, con oltre 18.000 profili analizzati, è considerata uno dei più vasti esempi di investigazione genetica mai realizzati in Italia.
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