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Il caso

Recuperato e restituito allo Stato un capolavoro del Seicento attribuito a Giovanni Battista Paggi

Un'indagine congiunta tra Carabinieri TPC e Ministero della Cultura porta alla luce un dipinto vincolato illegalmente alienato

Recuperato e restituito allo Stato un capolavoro del Seicento attribuito a Giovanni Battista Paggi

Un prezioso dipinto seicentesco attribuito al pittore genovese Giovanni Battista Paggi (1554–1627) è stato recuperato e restituito allo Stato grazie a un'operazione condotta dal nucleo carabinieri tutela patrimonio culturale (TPC) di Torino in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli. L'indagine è partita nel 2022 da un controllo sulle vendite all'asta da parte dei carabinieri TPC, che hanno trovato in una casa d’aste piemontese la messa in vendita del dipinto, di grandi dimensioni (240 x 172 cm), in apparente violazione della normativa sui beni culturali. L’opera, infatti, era stata dichiarata di interesse culturale nel 1992 con apposito decreto ministeriale e quindi sottoposta a vincolo.

Le indagini hanno rivelato che il dipinto era stato già oggetto di una compravendita privata non autorizzata dopo l’imposizione del vincolo, configurando il reato di “Violazioni in materia di alienazioni di beni culturali” (art. 518-novies del Codice Penale), introdotto nel 2022. Il procedimento penale si è concluso con l’archiviazione per morte del reo, ma ha portato alla confisca del bene in favore dello Stato. La cerimonia ufficiale di restituzione si terrà il 20 maggio 2025 presso la sede della Soprintendenza a Novara, alla presenza della Soprintendente Beatrice Maria Bentivoglio Ravasio e del Comandante del Nucleo TPC di Torino, Magg. Ferdinando Angeletti.

Il dipinto, attribuito a Giovanni Battista Paggi dalla storica dell’arte Mary Newcome-Schleier, venne visto da lei per la prima volta in una collezione privata torinese e pubblicato nel 1992. L’attribuzione fu poi rafforzata nel 1995 grazie alla scoperta di due disegni preparatori riconducibili all’opera. La studiosa interpretò la scena come un miracolo o un atto di carità di San Filippo Neri, pur ammettendo di non essere certa sull’identificazione iconografica.

L'opera mostra un santo con aureola che avanza nella notte, accompagnato da una donna con un bambino in fasce e altri due fanciulli. Sullo sfondo, un’architettura urbana notturna, con persone a letto, forse all’interno di un ospedale. Il santo veste abiti neri e tiene in mano un libro su cui poggiano tre palle d’oro, un dettaglio che richiama San Nicola di Bari e l’episodio del dono della dote alle tre fanciulle povere. Tuttavia, l’assenza dei paramenti vescovili rende plausibile l’identificazione con un giovane San Nicola, ancora laico, oppure con San Filippo Neri, suggerita anche dallo stile oratoriano della veste.

L’opera, realizzata intorno al 1608, evidenzia un linguaggio pittorico che unisce la tradizione genovese di Luca Cambiaso con influenze caravaggesche acquisite durante l’esilio toscano del Paggi. Ne è prova il luminismo notturno, il realismo nella natura morta e l’intensità cromatica. Il primo passaggio documentato dell’opera risale al 1988, quando fu venduta presso un’asta fiorentina Semenzato come “Episodio di Carità” di autore lombardo. Successivamente fu acquistata da una collezionista privata torinese. Da allora, il dipinto è rimasto nascosto al pubblico fino al recente recupero.

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