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La recensione

FUAN, alle radici degli studenti di destra anti-sistema

Il libro di Alessandro Amorese fra ricostruzione storica e documenti inediti

FUAN, alle radici degli studenti di destra anti-sistema

Il saggio “FUAN - Gli studenti nazionali tra piazze ed atenei” di Alessandro Amorese, edito da Eclettica Edizioni, rappresenta un’opera di straordinario valore documentale, destinata a colmare un vuoto storiografico significativo. Con le sue quasi cinquecento pagine dense di materiali inediti, frutto di rigorose ricerche d’archivio e di testimonianze, il libro si pone come un riferimento imprescindibile per studiosi e appassionati della storia politica e culturale italiana del dopoguerra.

Il volume in questione, prima parte di un progetto più ampio che arriverà sino ai giorni nostri, ripercorre le vicende del Fronte Universitario d’Azione Nazionale (FUAN) dai suoi prodromi nei GUF (che si richiamavano anche nell’acronimo ai gruppi universitari fascisti), fino alla data spartiacque del 16 marzo 1968, momento chiave delle rivolte studentesche e simbolica fine di una stagione politica.

Alessandro Amorese dimostra un’indiscutibile capacità di ricostruzione critica, offrendo un ritratto esaustivo del FUAN, nato ufficialmente nel maggio del 1950, ma che già da anni aveva gettato le basi attraverso gruppi universitari territoriali attivi e combattivi. Centrale nella ricostruzione di Amorese è il ruolo dei congressi fondativi, eventi tumultuosi dove si confrontavano visioni spesso contrapposte sull’identità e sul futuro dell’organizzazione studentesca. Emergono chiaramente le tensioni interne e i dibattiti accesi su autonomia politica, culturale e organizzativa rispetto al Movimento Sociale Italiano (MSI), partito di riferimento che non mancò mai di esercitare una significativa influenza, a volte problematica.

La narrazione storica prende forza e colore quando descrive le grandi mobilitazioni degli studenti nazionali, prima fra tutte quella per “Trieste italiana”, una battaglia ideologica e culturale che vide i giovani del FUAN protagonisti assoluti nelle piazze e negli atenei italiani, conquistando egemonie elettorali sorprendenti in diversi poli universitari. Amorese approfondisce con lucidità anche un altro momento centrale della militanza fuanina: le proteste contro l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, quando la solidarietà verso il popolo ungherese e l’anticomunismo militante del FUAN mobilitarono migliaia di giovani studenti italiani, segnando un’identità generazionale netta e duratura.

Tra le figure di maggiore spessore analizzate nel libro spicca quella di Franco Petronio, dirigente nazionale del FUAN e stella nascente del MSI, capace di imprimere una svolta organizzativa e ideologica significativa. Petronio seppe sintetizzare il sentimento nazionale con una visione moderna della militanza studentesca, aprendo il FUAN a una più ampia prospettiva culturale e politica.

Il contributo di personalità di rilievo internazionale alla nascita del FUAN non può passare inosservato, per citarne solo due: lo storico e orientalista Giuseppe Tucci offrì il proprio prestigio accademico per sostenere il movimento, mentre il grande pittore Giorgio De Chirico realizzò addirittura un simbolo per l’organizzazione, che però non venne adottato per la complessità della sua riproduzione grafica.

Significativo è anche l’approfondimento che Amorese dedica ai tanti nomi noti e insospettabili passati per le fila del FUAN, creando ponti tra generazioni e arricchendo l’organizzazione di una sensibilità culturale alta, capace di lasciare tracce profonde nella cultura e nella società italiana, un esempio per tutti: il magistrato Paolo Borsellino, assassinato dalla mafia e assurto a simbolo di un’Italia con la schiena dritta che non vuole piegarsi ai soprusi mafiosi.

Amorese racconta anche le battaglie interne agli atenei: la lotta contro l’esame di Stato, le polemiche sulle elezioni accademiche e il vivace dibattito sulle riforme universitarie. Il FUAN era spesso visto come guastafeste, un’etichetta orgogliosamente rivendicata, tra goliardia e scontri politici anche violenti, come quelli nei congressi dell’Unuri, gli incidenti di piazza e le prime occupazioni simboliche. Nel corso degli anni, le posizioni politiche del FUAN evolsero in modo significativo: dall’iniziale rigorosa adesione al nazionalismo post-bellico, passando per un deciso anticomunismo, fino ad aprirsi a nuove interpretazioni e confronti interni, soprattutto in prossimità del ’68.

Questa evoluzione rifletteva la complessità della realtà sociale e politica italiana del periodo, evidenziando tensioni e aperture che ne fecero un laboratorio politico unico.

Particolarmente interessante è l’analisi delle dinamiche che videro, in alcuni atenei di grandi città, gli studenti di destra e di sinistra unirsi nel movimento studentesco tra il 1967 e il 16 marzo 1968. Sia nelle università che nelle medie superiori, gli studenti avevano trovato una base di azione comune “contro il sistema”, terreni politici comuni elaborati durante le assemblee studentesche, dove gli studenti “nazionali” avevano agibilità e potevano portare il loro patrimonio politico di opposizione e le idee di rinnovamento dell’università, della scuola e prospetticamente della società. Gli scontri con la polizia di Valle Giulia a Roma, con 200 feriti e quattro arrestati, videro in prima linea gli studenti romani del Fuan insieme a quelli di sinistra, in una linea comune di attacco al “sistema”. Anche a Torino il più possente corteo studentesco del novembre 1967 era aperto da studenti del Fuan e della “Giovane Italia”(organizzazione degli studenti medi di area missina), che poi sfociò in violenti scontri con la polizia davanti alla facoltà di architettura.

Il 16 marzo 1968 il MSI, allora retto da Arturo Michelini e dai suoi collaboratori “gerontocrati”, inviò centinaia di attivisti alla Sapienza di Roma, ad attaccare gli studenti di sinistra che occupavano la facoltà di lettere, mentre gli studenti di destra occupavano giurisprudenza.

Ne nacquero scontri furibondi con arresti e feriti e gli studenti del FUAN, loro malgrado coinvolti negli scontri, furono visti come “guardie bianche” al servizio dell’ordine costituito. Per alcuni la vecchia classe dirigente del MSI commise un grave errore non avendo compreso le dinamiche che stavano caratterizzando il mondo studentesco e giovanile in generale. Per altri l’azione del MSI fu la necessaria risposta all’espansione del PCI nelle università che, attraverso gruppuscoli extraparlamentari eterodiretti e con il supporto delle sue strutture, cercava di impadronirsi degli atenei negando l’agibilità politica e fisica a chi non fosse di sinistra. Due tesi suggestive che animarono il dibattito all’interno del FUAN.

In ogni caso, dove si realizzò, l’unità d’azione degli studenti durò fino a quella fatidica data del 16 marzo. Un periodo forse unico nella storia italiana, una breve unità generazionale destinata a rompersi con la radicalizzazione successiva. Chi ne guadagnò, comunque, non fu certo la destra studentesca, che venne ghettizzata, ma il governo espressione della partitocrazia che, con la teoria degli opposti estremismi, rimise in riga gli studenti e fece in modo, con il moloch dell’antifascismo, che la pericolosa esperienza dell'unità generazionale non venisse più ricostituita negli anni a venire.

Il lavoro di Amorese restituisce dunque non solo una pagina di storia politica, ma anche il ritratto di una gioventù inquieta e determinata, capace di condurre battaglie culturali di ampia portata, conservando sempre un’autonomia critica verso il partito di riferimento. Con un linguaggio incisivo, l’autore realizza un’opera di grande profondità documentale e critica, indispensabile per chiunque voglia comprendere i complessi processi della politica giovanile del dopoguerra italiano e le radici culturali di un movimento troppo spesso trascurato dalle narrazioni ufficiali.

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