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(In)sicurezza

Doppia spaccata in via Po, vigilanza sotto accusa: gli allarmi non sono scattati

Dopo i due furti i commercianti puntano il dito contro i sistemi di sorverglianza privati

Doppia spaccata in via Po, vigilanza sotto accusa: gli allarmi non sono scattati

La scorsa settimana ha messo a dura prova il commercio del centro cittadino, con un’escalation di furti partiti dalla Galleria Subalpina. Poi è stata la volta del negozio di scarpe Scali di via Po 18/A, qualche giorno fa. Fino all’ultimo episodio, venerdì scorso, su via Po 18/F. Che ha colpito un negozio di merchandising, il T-ShirtMad Store, appena due vetrine dopo, in direzione piazza Vittorio. Pochi soldi in cassa, ma tanti danni, tra articoli arraffati in fretta e furia e vetrine mandate in frantumi, e anche tanta insicurezza.

Questi ultimi due episodi, non avrebbero in comune solo il furto subito a distanza di pochi giorni e civici l’uno dall’altro, ma anche il fatto che in entrambi i casi il sistema di sicurezza privato - che pagano lautamente ogni mese - non avrebbe funzionato come avrebbe dovuto.

Chiara e Manuela, rispettivamente le titolari di Scali e di T-ShirtMad Store, colpite dalle ultime spaccate, fanno affidamento a società private (la prima Sicuritalia, la seconda Verisure) che offrono sistemi di allarme completi e servizi di vigilanza e controllo da remoto. E che nascono, in teoria, proprio per sventare simili atti. Un servizio che pagano circa 90 euro al mese. Un abbonamento qualsiasi, come Netflix, in cambio di potere dormire sonni tranquilli sapendo che, nel caso di eventi sospetti, qualcuno li chiamerà ed interverrà.

Ma in questi due casi così non è stato. Ce lo racconta proprio Chiara, ancora un po’ agitata e arrabbiata per le dinamiche del furto. «Hanno tre numeri da chiamare in caso di comportamenti “sospetti”. Quella sera al telefono ha risposto mio padre che, pensando che l’operatore si riferisse alla sua attività commerciale, e non alla mia, ha detto di non mandare nessuno e di stare tranquilli», si sfoga Chiara. Ma la “telefonata di accertamento” da Sicuritalia si sarebbe conclusa in modo anomalo. Per prassi, infatti, è necessario che il cliente dica una parola d’ordine personale, così che l’operatore sia sicuro di avere parlato con la persona giusta. Cosa che in questo caso non è avvenuta. «Mio padre ha dato la sua parola d’ordine, non quella relativa alla mia attività», dice. Un’anomalia di cui l’operatore del servizio, forse assonnato, forse solo distratto, non si sarebbe accorto. L’indomani, così, Chiara si è ritrovata con la vetrina rotta. Nel caso di T-shirtMad Store, invece, l'anomalia sarebbe relativa al sistema di videosorveglianza, che avrebbe dovuto far partire del fumo anti-intrusione (un fumogeno), per limitare la visibilità del malintenzionato. Anche in questo caso un flop, perché il fumo non è partito.

«Come se non bastasse nessuno si è fatto vivo», continua ancora Chiara, che pretende ora spiegazioni e promette di passare per vie legali. Episodi che sollevano un ragionevole dubbio: se neanche pagare sistemi professionali basta, cosa resta da fare?

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