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LA SENTENZA
14 Luglio 2025 - 12:47
Una notte intera chiuso in commissariato, senza un arresto, senza un’accusa formale, senza che venisse avvisato il magistrato di turno. Soltanto un fermo “di identificazione” trasformato in una detenzione vera e propria. Per quei fatti, due agenti del Reparto Prevenzione Crimine sono stati condannati, oggi, dal tribunale di Torino. La giudice Federica Florio, ha riconosciuto il reato di arresto illegale, calunnia e falso in atto pubblico. Il sovrintendente Domenico Panetta è stato condannato a due anni di reclusione, mentre all’assistente capo Giuseppe Raimondi sono stati inflitti un anno e nove mesi. Entrambi, secondo la ricostruzione della Procura, avrebbero contribuito a trattenere il ragazzo, minorenne all’epoca dei fatti, senza titolo, fabbricando in seguito un verbale per tentare di giustificare l’accaduto. Alla parte civile, rappresentata dall’avvocata Fabiana Francini, è stata riconosciuta una provvisionale di cinquemila euro, a carico dei due imputati in solido. Secondo il pubblico ministero Paolo Toso, che nella scorsa udienza aveva chiesto pene ben più severe – tre anni e tre mesi per Panetta, due anni e otto mesi per Raimondi – l’intera vicenda è segnata da una serie di “strane coincidenze”. I fatti risalgono a un controllo effettuato in un bar, dove il ragazzo, in compagnia di alcuni amici, avrebbe assunto un atteggiamento provocatorio alla vista di una pattuglia. Una bravata adolescenziale, definita dallo stesso pm come uno “sbruffoncello che alla vista della polizia fa il gradasso”, ma che di certo non giustificava l’intervento immediato di tre pattuglie, le manette, il trasporto in commissariato, la detenzione. Il ragazzo venne portato negli uffici della polizia e lì trattenuto per ore. Non fu arrestato, non venne formalizzato nulla. Nessuna comunicazione al magistrato. Solo un verbale steso in un secondo momento, che secondo l’accusa aveva lo scopo di “aggiustare” la realtà dei fatti. Un tentativo, maldestro, di coprire una privazione illegittima della libertà personale. Silvia Navone, difensore dei due imputati, ha espresso perplessità sull’intera vicenda, annunciando ricorso in appello. «È una storia che mi ha sempre lasciata perplessa, chiederemo il ricorso in appello» ha dichiarato, in attesa del deposito delle motivazioni da parte del giudice.
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