l'editoriale
Cerca
il piemontese ed i suoi modi di dire
25 Luglio 2025 - 10:30
L’Italia è un mosaico di lingue, dialetti, accenti e modi di dire. Un patrimonio culturale inestimabile che rende ogni regione riconoscibile anche solo da una frase o da una cadenza.
Torino e il Piemonte non fanno eccezione: anche qui esistono parole, espressioni e intercalari che permettono di individuare al volo l’origine di una persona. Alcune sono semplici curiosità linguistiche, altre vere e proprie bandiere identitarie. E molte, va detto, suonano bizzarre o addirittura sbagliate a chi arriva da fuori regione.
Al di là del celebre (e un po' stereotipato) “Ti piace la menta?” – pronunciato con una “e” molto aperta – ci sono decine di frasi che smascherano immediatamente un piemontese doc. Ecco le 20 più comuni: quante ne usi anche tu?
Chi arriva a Torino e si sente chiedere “Com’è?” potrebbe restare perplesso. Non si riferisce al tempo, né a un oggetto misterioso, ma è semplicemente la versione locale di “Come va?”. Deriva dal piemontese “cum al’è” e, sebbene sembri tronca, è una forma di saluto rapida e colloquiale usatissima in città e provincia. Per chi non è del posto, può sembrare quasi una domanda sospesa… ma per un torinese è perfettamente compiuta.
Quando un torinese deve chiedere un favore, difficilmente sarà diretto. Piuttosto, userà la gentile formula “Hai voglia di…?”: un modo garbato per non sembrare invadente. Che si tratti di aprire la porta o fare la spesa, tutto suona più educato. E se la richiesta è particolarmente noiosa, può comparire anche il rafforzativo “mica”: “Hai mica voglia di lavare i piatti?” – quasi come a dire: “Capisco che non ti va, ma…”.
Uno dei tic linguistici più tipici di Torino è l’uso di “solo più” al posto di “soltanto” o “rimane solo”. Frasi come “C’è solo più una fetta di torta” suonano perfettamente normali in città, ma altrove fanno alzare più di un sopracciglio. È un uso scorretto in italiano standard, ma così diffuso localmente che viene percepito come naturale.
“Va bin” è l’equivalente piemontese di “Va bene”, ed è forse uno dei modi di dire più immediati da capire anche fuori dai confini regionali. È un’espressione semplice e rassicurante, che si adatta a mille contesti: accettare una proposta, confermare un piano, rispondere a una domanda. Torinesi e piemontesi la pronunciano con spontaneità, anche quando parlano in italiano.
Il torinese medio ha un debole per le perifrasi, e “Facciamo che + verbo” ne è un esempio perfetto. “Facciamo che ci vediamo domani” non è un invito a giocare, ma un modo barocco per dire “Vediamoci domani”. Questa costruzione, lunga e un po’ contorta, rivela un certo gusto per il linguaggio indiretto e abbondante, tipico della cultura sabauda.
Se a Torino qualcuno ti chiama “piciu”, non sta certo facendo un complimento. È un insulto colloquiale, simile a “scemo” o “cretino”, e ha una connotazione tipica del linguaggio amichevole (o infastidito) tra amici e conoscenti. È un termine molto usato, anche con tono affettuoso, un po’ come il “pirla” milanese. Ma attenzione: dipende tutto dal contesto!
Ironia sabauda allo stato puro: nella città del gianduiotto, “fare la figura del cioccolataio” significa fare una figuraccia, mettersi in ridicolo. È un’espressione usata soprattutto per commentare situazioni imbarazzanti o scivoloni pubblici. Un dolce paradosso che dimostra come anche il simbolo gastronomico torinese possa trasformarsi in beffa linguistica.
Un errore grammaticale diventato abitudine. A Torino si sente spesso dire “Non mi oso”, come se il verbo “osare” fosse riflessivo. In italiano corretto sarebbe semplicemente “Non oso”, ma la versione torinese è talmente radicata da sembrare normale. È un esempio perfetto di come l’uso locale possa sovrascrivere la grammatica ufficiale.
A Torino non si va a cena: si “fa cena”. E allo stesso modo, si “fa pranzo”. È un’espressione abbondante, che rispecchia la tendenza torinese a usare costruzioni verbali più articolate del necessario. Non è sbagliato, ma in altre zone d’Italia suona un po’ curioso, quasi formale. A Torino, invece, è semplicemente il modo standard di dire le cose.
Il “già” finale nelle frasi torinesi è un piccolo intercalare che aggiunge colore e familiarità. “Come si chiamava quella serie, già?” è un classico esempio di come venga usato per cercare di ricordare qualcosa o coinvolgere l’interlocutore. Un vezzo linguistico che, una volta notato, si scopre essere ovunque nei dialoghi quotidiani.
Non ha nulla a che fare con il bucato. Quando un torinese “ti manda a stendere”, lo fa con una certa classe: ti sta dicendo di andartene, ma in modo meno volgare di un “mandarti a quel paese”. È un modo ironico e velatamente aggressivo per esprimere fastidio, perfettamente in linea con la discreta compostezza sabauda.
Nella città di Torino, la gomma da masticare si chiama “cicles”. Punto. Il termine deriva probabilmente dalla pronuncia storpiata del brand americano “Chiclets”, e si è radicato al punto che per molti torinesi “cicles” è l’unico termine esistente per descrivere quel prodotto. Anche i più giovani continuano a usarlo, spesso senza sapere da dove viene.
Lo stato d’animo dei torinesi si può riassumere in due formule semplici: “preso bene” e “preso male”. La prima indica allegria, leggerezza, positività; la seconda, al contrario, tristezza, frustrazione o ansia. È un modo efficace e veloce per raccontare come ci si sente, con una punta di autoironia che non guasta mai.
“Cerea” è il saluto per eccellenza in Piemonte, soprattutto nel congedo. È usato in modo simile ad “arrivederci”, ma con una sfumatura più calda e familiare. Anche se oggi lo usano soprattutto le generazioni più mature, negli ultimi anni ha conosciuto un piccolo ritorno, anche grazie al suo fascino retrò.
“Fatti furbo” può avere due significati: da un lato, è un’esortazione a svegliarsi, aprire gli occhi; dall’altro, è un modo per dire “smettila di dire cavolate”. È un’espressione ambivalente, che dipende tutto dal tono. Può essere un avvertimento affettuoso, ma anche una frecciatina pungente.
A Torino, un appartamento non si chiama appartamento: si chiama “alloggio”. È una differenza terminologica sottile, ma molto rivelatrice. Chi dice “ho comprato un alloggio in centro” svela subito le sue radici piemontesi. Il termine è perfettamente corretto anche in italiano, ma nel resto del Paese è molto meno usato.
“Boja fauss” è una delle espressioni più emblematiche del piemontese. Può esprimere rabbia, sorpresa, frustrazione, ma mai in modo volgare. È un’imprecazione colorita ma accettabile, quasi folkloristica, che accompagna tante situazioni emotive. Ogni torinese ne conosce l’uso e il tono giusto per pronunciarla.
Espressione intraducibile, capace di racchiudere disinteresse, distacco e rassegnazione in tre parole. “Oh basta là” è una delle frasi più torinesi che esistano. Come diceva Umberto Eco, non esiste un corrispettivo preciso in nessun’altra lingua o dialetto: è un capolavoro di understatement sabaudo.
Il “neh” finale è una piccola particella che trasforma una frase in una domanda confermativa. Simile al “vero?” italiano, serve a cercare complicità, approvazione, o semplicemente a rafforzare quanto detto. “Ci sei anche tu stasera, neh?” è un invito più amichevole che una semplice affermazione.
“E bon” è l’equivalente torinese di “E niente”, usato per concludere un discorso con rassegnazione o indifferenza. È la firma finale che chiude una storia, un commento o un pensiero con fatalismo sabaudo. Esistono anche le varianti “e bo” ed “e bom”, tutte con lo stesso sapore dimesso ma efficace.
CronacaQui.it | Direttore responsabile: Andrea Monticone
Vicedirettore: Marco Bardesono Capo servizio cronaca: Claudio Neve
Editore: Editoriale Argo s.r.l. Via Principe Tommaso 30 – 10125 Torino | C.F.08313560016 | P.IVA.08313560016. Redazione Torino: via Principe Tommaso, 30 – 10125 Torino |Tel. 011.6669, Email redazione@cronacaqui.it. Fax. 0116669232 ISSN 2611-2272 Consiglio di amministrazione: Presidente Massimo Massano | Consigliere, Direttore emerito e resp. trattamento dati e sicurezza: Beppe Fossati
Registrazione tribunale n° 1877 del 14.03.1950 Tribunale di Milano
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo..