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le parole dell'artista
25 Luglio 2025 - 12:00
È successo venerdì 19 luglio sul palco del Wondergate Festival di Napoli, quando Willie Peyote – senza retorica né filtri – ha pronunciato parole che hanno fatto tremare la platea. Ma la vera scossa è arrivata subito dopo, quando ha puntato il dito contro una delle piattaforme più usate (e idolatrate) da artisti e ascoltatori: Spotify: “Tutti giustamente dicono di fermare il genocidio a Gaza, ma nessuno dice un cazzo su Spotify”, ha dichiarato Peyote, lasciando il pubblico in un silenzio teso e carico di significato. Non era una sparata a effetto. Era una presa di posizione. Politica, morale, urgente.
Non solo parole: dietro la denuncia c’è un fatto concreto. Daniel Ek, CEO di Spotify, ha investito 600 milioni di euro nella start-up bellica Helsing, specializzata in intelligenze artificiali per droni da guerra. Non solo: nel 2017 ha pagato 150.000 dollari per partecipare alla cerimonia d’insediamento di Donald Trump.
Quello che Peyote ha fatto dal palco non è stato solo accusare Ek, ma costringere un intero sistema a guardarsi allo specchio:
“Siamo tutti su Spotify, artisti e ascoltatori, ma nessuno si prende la responsabilità di parlarne. A me sembra un controsenso”.
Guglielmo Bruno, classe 1985, laurea in Scienze Politiche, originario di Leini (To), è uno che non si è mai fatto piacere dal sistema. Dalla scena dei centri sociali ai grandi festival italiani, ha sempre mantenuto una voce autonoma, tagliente, coerente.
Nel 2021 vince il Premio della Critica a Sanremo con “Mai dire mai (La locura)”, canzone-manifesto che demolisce la spettacolarizzazione della politica e dell’informazione. Anche lì, nessuna compiacenza. Nessuna scorciatoia.
Willie Peyote mette in discussione anche sé stesso. E in un’epoca dove l’arte è spesso ingabbiata nei trend, nei reel e nei posizionamenti da social media, lui si prende il rischio di dire ciò che nessuno vuole sentire: "Se siete ad un mio concerto, è perché sapete da che parte sto".
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