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le parole dell'artista

"A cosa serve free-palestine, se poi stiamo zitti su Spotify?" le parole di Willie Peyote durante il concerto, un grido di rivolta verso la piattaforma di streaming

Al Wondergate Festival di Napoli, il rapper torinese denuncia le contraddizioni dell’industria musicale e accusa senza filtri: “Non possiamo parlare di giustizia e intanto ingrassare chi investe nella guerra”

"A cosa serve free-palestine, se poi stiamo zitti su Spotify?" le parole di Willie Peyote durante il concerto, un grido di rivolta verso la piattaforma di streaming

È successo venerdì 19 luglio sul palco del Wondergate Festival di Napoli, quando Willie Peyote – senza retorica né filtri – ha pronunciato parole che hanno fatto tremare la platea. Ma la vera scossa è arrivata subito dopo, quando ha puntato il dito contro una delle piattaforme più usate (e idolatrate) da artisti e ascoltatori: Spotify: “Tutti giustamente dicono di fermare il genocidio a Gaza, ma nessuno dice un cazzo su Spotify”, ha dichiarato Peyote, lasciando il pubblico in un silenzio teso e carico di significato. Non era una sparata a effetto. Era una presa di posizione. Politica, morale, urgente.

Non solo parole: dietro la denuncia c’è un fatto concreto. Daniel Ek, CEO di Spotify, ha investito 600 milioni di euro nella start-up bellica Helsing, specializzata in intelligenze artificiali per droni da guerra. Non solo: nel 2017 ha pagato 150.000 dollari per partecipare alla cerimonia d’insediamento di Donald Trump.

Quello che Peyote ha fatto dal palco non è stato solo accusare Ek, ma costringere un intero sistema a guardarsi allo specchio:
“Siamo tutti su Spotify, artisti e ascoltatori, ma nessuno si prende la responsabilità di parlarne. A me sembra un controsenso”.

Guglielmo Bruno, classe 1985, laurea in Scienze Politiche, originario di Leini (To), è uno che non si è mai fatto piacere dal sistema. Dalla scena dei centri sociali ai grandi festival italiani, ha sempre mantenuto una voce autonoma, tagliente, coerente.

Nel 2021 vince il Premio della Critica a Sanremo con “Mai dire mai (La locura)”, canzone-manifesto che demolisce la spettacolarizzazione della politica e dell’informazione. Anche lì, nessuna compiacenza. Nessuna scorciatoia.

Willie Peyote mette in discussione anche sé stesso. E in un’epoca dove l’arte è spesso ingabbiata nei trend, nei reel e nei posizionamenti da social media, lui si prende il rischio di dire ciò che nessuno vuole sentire: "Se siete ad un mio concerto, è perché sapete da che parte sto".

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