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Gli infermieri piemontesi sono schiacciati dal lavoro non sanitario: un quarto del loro tempo è dedicato a mansioni delegabili

Studio in 5 ospedali evidenzia il peso di burocrazia, trasporti e attività di supporto sulla professione infermieristica, con rischi di burnout

Un recente studio condotto dall’Università di Torino e promosso dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Torino, pubblicato sulle riviste internazionali Journal of Advanced Nursing e Journal of Patient Safety, ha messo in luce un problema strutturale che affligge gli infermieri in Piemonte: un quarto del loro tempo lavorativo nei reparti di area medica e chirurgica viene assorbito da attività non sanitarie, che potrebbero essere delegate ad altre figure professionali come operatori socio-sanitari (OSS), personale amministrativo o ausiliario.
La ricerca, condotta in cinque ospedali piemontesi tra strutture pubbliche e private, ha coinvolto 236 infermieri distribuiti in 27 reparti e ha analizzato sia il tempo dedicato ai compiti delegabili, sia le percezioni degli operatori. Tra le mansioni che gravano ingiustamente sulle spalle degli infermieri vi sono il cambio di presidi, la rilevazione dei parametri, la cura dell’igiene del paziente, la gestione di telefonate, le pratiche amministrative, il trasporto dei pazienti e la consegna di vassoi.

L’indagine ha anche rivelato le cause di questa situazione, che si intrecciano tra fattori sistemici e culturali. La carenza di personale di supporto, soprattutto nei turni notturni, e la disorganizzazione dei servizi sono elementi ricorrenti. Inoltre, emerge una diffusa difficoltà a delegare, dovuta sia a resistenze interne al personale di supporto, sia a dubbi sulla qualità del lavoro affidato, nonché al timore di critiche da parte dei colleghi. Da queste condizioni nasce una professione percepita come ibrida: gli infermieri si trovano a svolgere contemporaneamente ruoli di clinici, amministrativi e operatori di supporto, con un forte senso di responsabilità morale che li porta a colmare le lacune organizzative a scapito del proprio benessere.
Gli effetti psicologici di questa situazione si mostrano evidenti: gli infermieri segnalano frequenti sentimenti di frustrazione, perdita di identità professionale, ansia, demoralizzazione e un rischio elevato di burnout. Molti si sentono anelli di compensazione in un sistema che li utilizza in modo improprio, compromettendo la motivazione e la qualità della cura.

Ivan Bufalo, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Torino e del Coordinamento regionale, lancia un appello urgente alle istituzioni politiche e sanitarie: la situazione non è più sostenibile. Oltre alla carenza di almeno 6.000 infermieri in Piemonte, è allarmante che circa un quarto del tempo lavorativo degli infermieri venga speso in attività estranee all’assistenza sanitaria. È indispensabile ripensare i modelli organizzativi e valorizzare le competenze infermieristiche, per garantire sicurezza, qualità dell’assistenza e la sostenibilità del sistema sanitario pubblico.

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