Cerca

Il caso

La protesta davanti al bar Norman: «Fateci riaprire, nessuno ci dice nulla»

Sessanta dipendenti senza stipendi e certezze dopo il sequestro per frode fiscale: «Abbiamo famiglie, ma nessuno ci ascolta»

La protesta davanti al bar Norman: «Fateci riaprire, nessuno ci dice nulla»

La protesta dei dipendenti di fronte al bar Norman

Davanti alle serrande abbassate del Bar Norman in via Pietro Micca, storico locale torinese sotto sequestro insieme ai due ristoranti Suki di via Amendola e via Rodi, si è svolta questa mattina una protesta spontanea dei dipendenti. Sessanta lavoratori coinvolti nelle chiusure si sono ritrovati in strada con uno striscione che recita «Fateci riaprire», per chiedere risposte dopo una settimana di silenzio e stipendi mancanti. «Ci avevano rassicurati, dicendo che entro venerdì o sabato i locali avrebbero riaperto. Ci siamo fidati, eravamo tranquilli. Ma non è successo niente. E quello che è ancora più grave è che nessuno ci dice nulla», spiegano Simone Sgaramella, responsabile del Norman e Maurizio Penna, da trent'anni al Norman.

Il sequestro, disposto dalla guardia di finanza per una presunta frode fiscale da 100 milioni, grava sui dipendenti, che parlano di una somministrazione irregolare di manodopera da parte di Postalcoop che ha travolto anche i tre locali torinesi, lasciandoli senza certezze. «Non c'entrano nulla il food o il servizio, non ci fanno più lavorare. Il giorno del sequestro c’erano alimenti in scadenza per migliaia di euro, il pomeriggio hanno mandato tutto in beneficenza. Nessuno ha pensato a noi. Quegli alimenti erano il nostro lavoro, la nostra sopravvivenza. Ora, se un giorno si riaprirà, bisognerà ricominciare da zero, e con una cattiva pubblicità sarà ancora più difficile», aggiungono.

Si parla di «buio assoluto». «Sappiamo che sui conti di PostalCoop ci sono i soldi, ma noi non abbiamo ancora ricevuto lo stipendio di agosto. Tutti siamo assunti a tempo indeterminato, ma oggi non possiamo accedere alla Naspi, e se ci dimettiamo non riceviamo nulla. Ci hanno solo detto che dovremmo essere riassunti come Postal Cop, ma per ora restano parole». Secondo quanto riferiscono i lavoratori, il responsabile del Suki di via Amendola, Harly Ortiz, ha cercato di contattare i finanzieri che hanno posto i sigilli. «Gli hanno risposto che la situazione era molto più complicata di quello che sembrava», raccontano. Gli è stato fornito il numero di un sindacalista, che però «ci ha detto che non poteva fare niente. Ci ha consigliato di associarci, chiedendoci soldi che non abbiamo, perché già non riusciamo a pagare mutui, affitti e le spese per i nostri figli».

Le autorità, finora, non hanno fornito aggiornamenti ufficiali. Dopo la sostituzione dell’amministratore di Postal Cop, nominato ora dal tribunale (la dottoressa Sansò di Milano), i dipendenti attendevano un segnale di chiarezza. «Abbiamo contattato tutti, ma nessuno ci risponde. Qui non si parla di spese, ma di persone, di famiglie che non sanno come andare avanti».

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.