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i misteri torinesi
18 Settembre 2025 - 09:35
Un piccolo oggetto di vetro, soffiato duemila anni fa, racchiude un segreto unico al mondo: l’unico profumo romano giunto intatto fino a noi. È conservato al Museo di Antichità di Torino, parte dei Musei Reali, ed è un unguentario a forma di colomba, proveniente da una tomba di Rovasenda, nel Vercellese, databile alla metà del I secolo d.C.
L’oggetto, lungo circa venti centimetri, colpisce per la sua eleganza e per la sua funzione: era destinato a contenere essenze e balsami. Per utilizzarlo occorreva spezzare la coda, come si fa oggi con una fiala monodose. Questo esemplare, però, non è mai stato aperto: all’interno conserva ancora metà del suo contenuto, un liquido limpido con un leggero deposito rosato. Una rarità assoluta, che rende la “colombina di Rovasenda” una sorta di capsula del tempo.
Il recipiente fu realizzato con la tecnica della soffiatura libera, nata in area siro-palestinese e diffusasi in tutto il Mediterraneo già dal I secolo a.C. La scelta della forma zoomorfa, estetica e funzionale, era frequente nelle necropoli piemontesi, segno che proprio qui esistevano officine vetraie specializzate nella produzione di contenitori per cosmetici e rituali. Al Museo di Torino sono conservati altri balsamari simili, alcuni sempre a forma di colomba, ma ormai svuotati: la coda spezzata ha lasciato evaporare le essenze che contenevano.
La colombina di Rovasenda non è soltanto un reperto raro, ma anche una sfida scientifica. Senza violare il fragile vetro, gli studiosi hanno cercato di analizzare il suo contenuto attraverso metodologie non invasive, basate su radiazioni elettromagnetiche. Le indagini, condotte dal CNR e dall’Università di Milano, suggeriscono che si tratti di un’essenza di rose, proprio come descriveva Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. L’autore latino ricordava che i profumi romani si componevano di tre elementi: un olio vettore, l’essenza aromatica e un pigmento colorante. Resine e gomme fungevano da fissativi, mentre il sale stabilizzava il composto. Tra gli ingredienti più diffusi c’erano mirra, calamo aromatico, giunco e miele, ma i più celebri restavano quelli a base di rosa, in particolare della Campania.
Il profumo, nel mondo romano, non era solo un piacere sensoriale. Accompagnava la cura del corpo, i rituali religiosi, la sfera funeraria. Era un segno di identità e di rappresentazione sociale. Ritrovare oggi un’essenza intatta significa avere tra le mani non solo un oggetto, ma anche un frammento della quotidianità e della sensibilità antica.
La colomba di Rovasenda è dunque molto più di un raffinato manufatto di vetro. È memoria viva di una cultura che affidava ai profumi un ruolo centrale, simbolo di bellezza, ricchezza e spiritualità. A duemila anni di distanza, quel piccolo contenitore sigillato continua a parlarci, con la delicatezza di un aroma che ha attraversato i secoli senza svanire.
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