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IL CASO

Carcere di Ivrea, a processo gli agenti: la difesa nega ogni accusa

"State processando servitori dello Stato e non carnefici"

Carcere di Ivrea, a processo gli agenti: la difesa nega ogni accusa

Secondo i verbali, i detenuti "scivolavano sul pavimento". Le urla si sentivano nei corridoi. Al centro dell’inchiesta ci sono gli agenti della Casa circondariale di Ivrea, chiamati a rispondere di presunti maltrattamenti nella stanza soprannominata “Acquario”, descritta dalla Procura generale come un luogo di punizioni violente, definito addirittura “una macelleria messicana”. I fatti contestati risalgono a diversi anni fa, ma le udienze continuano a far emergere una netta contrapposizione tra la ricostruzione dell’accusa e quella della difesa. Nei verbali ufficiali dei detenuti, alcuni episodi sono descritti come semplici cadute sul pavimento bagnato, mentre la Procura li interpreta come maltrattamenti intenzionali. In aula a prendere la parola sono stati gli avvocati Celere Spaziante, Enrico Scolari, Alessandro Radicchi e Mauro Pianasso, difensori degli agenti imputati, con l’obiettivo di contestare le accuse e mettere in evidenza l’assenza di prove oggettive.  Spaziante ha aperto con una domanda netta: «C’è una prova medica che dimostri che Ahmed, il detenuto al centro della vicenda, sia stato picchiato?». Secondo la difesa, non esistono referti, prognosi o tracce di lesioni compatibili con quanto raccontato dall’accusa. Il detenuto viene descritto dagli avvocati come 196 centimetri, fisico possente, reduce da un episodio autolesivo con 146 punti di sutura, un uomo davanti al quale gli agenti si sono trovati a operare in condizioni di rischio e tensione. “La paura non è una colpa, ma un riflesso umano”, ha aggiunto Spaziante. Gli agenti, hanno spiegato i legali, hanno mantenuto rispetto e contegno, agendo secondo le procedure, anche durante le emergenze. In aula, la difesa ha insistito sul fatto che gli imputati non siano “aguzzini”, ma funzionari dello Stato operanti in un ambiente complesso, dove le tensioni e i rischi sono quotidiani. È stato inoltre contestato il ruolo del testimone chiave dell’accusa, Alfio Garrozzo, ex detenuto con legami con la criminalità organizzata, la cui deposizione, secondo i legali, non sarebbe supportata da elementi concreti né da riscontri oggettivi. La difesa ha ricostruito anche la notte della “rivoltina” del 2016, quando un gruppo di detenuti appiccò il fuoco e distrusse suppellettili e televisori. Secondo i legali, gli agenti intervennero in un clima di fumo, caos e urla, spesso richiamati in servizio d’emergenza, cercando di contenere la situazione e proteggere le persone presenti.

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