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Una legge per abolire la Merlin e raprire le case chiuse, ma la Corte Costituzionale dice no

Dal divieto della legge Merlin alla proposta di regolamentare la prostituzione: tra tutela della dignità, sfruttamento criminale e nodi costituzionali

Una legge per abolire la Merlin e raprire le case chiuse, ma la Corte Costituzionale dice no

Lina Merlin

Nel 1958, la senatrice socialista Lina Merlin riuscì a far approvare una legge storica: la numero 75 del 20 febbraio, nota come Legge Merlin, che aboliva le case di tolleranza in Italia. All’epoca, in oltre 500 strutture gestite dallo Stato, migliaia di donne esercitavano la prostituzione sotto controllo sanitario e sorveglianza della polizia. Non fu solo una riforma normativa, ma un atto politico e simbolico, che intendeva affermare la dignità e la libertà delle donne, sottraendo il loro corpo al controllo statale e alla regolamentazione del mercato sessuale; la legge nacque per combattere lo sfruttamento, per rompere un modello patriarcale che riduceva le lavoratrici del sesso a merci, e per colpire chi traeva profitto dalla prostituzione altrui. Con quella scelta, l’Italia prendeva posizione contro la mercificazione del corpo femminile, sposando una visione abolizionista, fondata su principi di emancipazione e giustizia sociale. Oggi, più di sessant’anni dopo, la prostituzione non è scomparsa: esiste, è diffusa, e troppo spesso è gestita da reti criminali che si nutrono di povertà, migrazioni e marginalità.

In questo contesto, una proposta di legge a firma del senatore Claudio Fazzone di Forza Italia intende abrogare integralmente la legge Merlin e introdurre un sistema regolamentato di case di prostituzione. Non si tratterebbe di una semplice depenalizzazione. Il testo, presentato in Senato, ridisegna l’intero impianto normativo attorno al lavoro sessuale: introduce «autorizzazioni obbligatorie, controlli sanitari e fiscali, registri pubblici, piattaforme regolamentate e nuovi reati specifici». Un’operazione che però apre interrogativi profondi e tutt’altro che secondari: cosa significa “libera scelta” in un contesto segnato da disuguaglianze economiche e di genere? Lo Stato può organizzare, registrare e tassare la prostituzione senza rischiare di legittimare nuove forme di sfruttamento? E ancora: quali tutele concrete offre a chi sceglie, o è costretta, a vendere prestazioni sessuali? Non solo. La proposta potrebbe presentare elementi di potenziale incostituzionalità. Infatti la sentenza numero 141 del 2019 della Corte costituzionale, pur non vietando la prostituzione in sé, afferma con chiarezza che «la libera scelta di prostituirsi non è sufficiente a ritenere che si tratti di un’attività da promuovere o tutelare come espressione della persona umana». Scrive la Corte: «L’offerta di prestazioni sessuali verso corrispettivo non rappresenta affatto uno strumento di tutela e di sviluppo della persona umana, ma costituisce una particolare forma di attività economica». Una visione che mette in discussione l’impianto della proposta Fazzone, che invece si fonda esplicitamente sul principio della “libera scelta” come presupposto di legittimità dell’attività sessuale a pagamento.

IL COMMENTO

Dal 1958 (anno dell’approvazione della legge Meriln) ad oggi, le cose sono cambiate. I costumi sono mutati e la percezione morale di determinati fenomeni non è più quella di quasi settant’anni fa. La prostituzione ha preso forme diverse. Le lucciole continuano a passeggiare lungo i marciapiedi delle città e c’è stato un moltiplicarsi di centri di massaggi, quantomeno equivoci, di meretricio sul web. La professione delle escort, poi, viaggia sul filo di lana tra quelle dell’accompagnatrice e quelle delle squillo. La situazione deve essere regolamentata e non si tratta solo di cancellare una legge, quella della senatrice socialista Lina Merlin che aveva abolito i bordelli di antica e romantica memoria. Bisogna riportare entro i limiti della legalità il mestiere più antico del mondo. Un mestiere che non può essere abrogato con un colpo di spugna e che neppure le lotte femministe e l’emancipazione della donna sono riuscite a cancellare. Forse, oggi, se non più di prima, la prostituzione è tale e quale, come diffusione del fenomeno, al periodo in cui ancora c’erano i casini. Una regolamentazione è necessaria per evitare lo sfruttamento, oggi saldamente in mano (al di là di qualche libera professionista), a potenti organizzazioni criminali. Non solo mafia e ‘ndrangheta, ma adesso a farla da padroni, sono i cartelli malavitosi stranieri: le mafie dell’Est europeo e quella cinese che controlla numerosi centri di massaggi in tutte le città italiane. La soluzione non può essere demandata unicamente alle forze dell’ordine, ma è ora che i politici inizino a legiferare, e anche un po’ in fretta.

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