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L'INTERVISTA

«Covid, servono nuovi vaccini». E in Cina crescono i contagi

L'infettivologo Giovanni Di Perri rassicura sul nuovo allarme, ma non si dovrà abbassare la guardia

«Contro il nuovo virus dalla Cina servirà un nuovo vaccino»

In Cina si riaccende l'allerta Covid: a giugno 65 milioni di infetti alla settimana

Arriva un nuovo allarme Covid. A giugno, infatti, la Cina si potrebbe trovare a far fronte a un picco di 65 milioni di casi alla settimana, a causa della nuova variante Xbb secondo la stampa cinese. La nuova ondata è iniziata lo scorso aprile e potrebbe raggiungere 40 milioni di nuovi casi settimanali già alla fine di maggio. A favorire l’aumento dei contagi è stata la decisione delle autorità cinesi di eliminare ogni restrizione sei mesi fa - nonché di smettere di aggiornare le relative statistiche sui contagi - il che solleva dubbi sull’effettivo impatto della pandemia nel Paese. Ad ogni modo, la nuova ondata sarebbe decisamente inferiore a quella dello scorso gennaio, in cui il numero dei contagi giornalieri aveva raggiunto 37 milioni, facendo collassare ospedali e provocando carenza di medicinali. Così, a ventiquattro ore dal primo allarme su una potenziale nuova ondata di Covid in estate, l’infettivologo dell’Università degli Studi di Torino, Giovanni Di Perri, rassicura l’occidente ma ricorda l’importanza di avere un nuovo farmaco per le vaccinazioni e una campagna di profilassi, almeno, a cadenza annuale

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Professor Di Perri, dobbiamo allarmarci del pericolo annunciato dalla Cina?
«Direi nessun allarme, ci sarà probabilmente una crescita del numero delle infezioni e, proporzionalmente, una crescita di quella pur minima percentuale di casi che necessiteranno di cure ospedaliere. Si tratta di quelle categorie di persone che ormai conosciamo da tempo come, ad esempio, gli anziani con patologie croniche respiratorie, polmonari o metaboliche, che devono sopportare gli stessi rischi anche con virus diversi, tipo l’influenza».


C'è il rischio di sottovalutare il pericolo di questa nuova variante?
«Non ci sono elementi per giudicare questa variante come apportatrice di nuove gravità cliniche, dovrebbe seguire il modello a ridotta patogenicità o virulenza di tutte le varianti e subvarianti Omicron».

Basteranno gli attuali vaccini o servirà un nuovo farmaco e una nuova strategia di profilassi?
«Queste come altre varianti renderanno necessario un periodico aggiornamento dei vaccini e soprattutto un inquadramento stagionale definitivo della vaccinazione contro il Covid all’interno del calendario vaccinale convenzionale».


Quali pensa siano le cause di questa nuova ondata cinese?
«Le cause di questa nuova ondata cinese risiedono evidentemente nell’asimmetria di immunizzazione fin qui registrata a livello mondiale fra la Cina ed il resto del mondo: la Cina ha adottato fino a poco tempo fa una strategia tesa a ridurre al minimo i casi, non avendo fra l’altro potuto contare su una qualità e quantità di vaccini pari a quelle messe in esercizio nel mondo occidentale. La Cina, che ha un miliardo e 400mila abitanti è ancora poco e male immunizzata e quindi è un territorio di maggiore espansione per il virus, laddove invece alle nostre latitudini circola con molta più difficoltà non solo per l’estensivo ed efficace uso dei vaccini, ma anche per il gran numero di infezioni spontanee che si sono verificate. Ci infettiamo di meno e ci ammaliamo di meno, e siamo praticamente ormai prossimi ad un equilibrio con il virus, che è entrato stabilmente a far parte dei virus respiratori con i quali ci confrontiamo ogni anno. L’incognita principale che rimane concerne la stagionalità o meno dell’infezione da Sars Cov2 ovvero se sarà, come gli altri virus respiratori, come l’influenza, un virus invernale o manterrà invece quella circolazione panstagionale fin qui registrata».

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