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Dopo 40 anni dall'attentato
26 Giugno 2023 - 08:14
Aldo Faraoni e Piero Sassi
Dopo quarant’anni dalla sua morte, questa mattina ne è stata celebrata la commemorazione, dubbi e ombre sul caso dell’omicidio dell’ex procuratore di Torino Bruno Caccia, ancora non sono state dissipate. Il magistrato fu assassinato sotto casa da un commando Il 26 giugno 1983. Caccia era noto per la determinazione e il rigore con cui svolgeva il proprio lavoro.
PIERO SASSI
Subito si pensò ad un’azione terroristica , erano gli “Anni di piombo”, ma non ci furono rivendicazioni e l’ipotesi si sciolse presto come neve sotto il sole. Le indagini sembravano ferme, gli investigatori e i magistrati smarriti. Fu il colpo di genio, l’intuito investigativo di uno “sbirro”, il migliore che mai abbia operato a Torino (il primato se lo gioca con il mitico commissario Giuseppe Montesano), Piero Sassi, allora capo della Criminalpol a indirizzare l’inchiesta lungo la pista giusta. Fu lui ha sospettare che dietro quell’attentato ci fosse l’impronta della criminalità organizzata, della ‘ndragheta reduce da una guerra dichiarata e vinta contro il più noto clan dei catanesi.
BRUNO CACCIA
La squadra mobile individuò il mandate, Domenico Befiore, a capo dell’omonimo clan che, successivamente, venne condannato all’ergastolo e oggi, anziano e malato, vive fuori dal carcere in un appartamento alla periferia di Chivasso. Ma il delitto era stato concepito secondo regole “militari” e gli esecutori non furono mai scoperti. Fino al 2015 quando, dopo un’indagine della squadra mobile, che aveva utilizzato sofisticati sistemi di intercettazione, spuntò il nome di Rocco Schirripa, un panettiere di Torino, ma residente nel Chivassese. Sul suo conto e sulla partecipazione all’agguato si sono aggiunte poi confessioni di pentiti di mafia e, verosimilmente, anche alcune delazioni.
ANCORA PIERO SASSI
Schirripa è finito anche lui all’ergastolo, ma la vicenda del delitto al magistrato sembra ancora non essere conclusa: «C’è un po’ di verità, ma non tutta», ha tuonato di recente un avvocato nel corso del processo in cui Schirripa era alla sbarra. Gli stessi famigliari di Bruno Caccia non credono che sia finito tutto: «Non possiamo dire che giustizia è stata fatta, sul movente c’è ancora molto da fare e da capire», hanno dichiarato le figlie del magistrato, Paola e Cristina Caccia.
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