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La politica statunitense

Le università americane contro Trump: scontro tra potere politico e libertà accademica

Oltre 150 atenei difendono l'autonomia educativa e denunciano pressioni ideologiche: "Un attacco alla libertà di pensiero"

Le università americane contro Trump: scontro tra potere politico e libertà accademica

Una frattura profonda attraversa l’istruzione superiore americana, e ha il volto di un conflitto esploso tra le università e l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump. Con una lettera aperta firmata da oltre 150 atenei – da Harvard a Princeton, da Yale al MIT – il mondo accademico ha alzato la voce contro quella che viene definita un’ingerenza senza precedenti del potere politico negli affari interni delle università. Il casus belli: la decisione del governo federale di congelare miliardi di dollari in fondi pubblici, ufficialmente per contrastare l’antisemitismo nei campus, ma che secondo i firmatari celerebbe una ben più ampia strategia di controllo ideologico.

L’appello non è rimasto confinato all’élite universitaria della East Coast. Hanno aderito anche decine di college meno noti ma fondamentali nel tessuto educativo americano – da Tufts a Pomona, passando per Middlebury e Smith – in quella che appare come una mobilitazione corale per difendere i principi fondanti dell’università americana: libertà accademica, autonomia decisionale, apertura internazionale.

Fa rumore, tuttavia, l’assenza di Columbia University, che ha scelto la via della collaborazione con l’amministrazione per sbloccare circa 400 milioni di dollari di fondi. Una decisione controversa, maturata – secondo fonti interne – sotto la minaccia di ritorsioni istituzionali come la perdita dello status fiscale agevolato e la limitazione delle iscrizioni per studenti stranieri.

Dietro l’accusa formale di tolleranza verso l’antisemitismo, i rettori vedono un pericoloso precedente: la volontà della politica di mettere le mani sulla produzione del sapere. “L’uso coercitivo dei finanziamenti per forzare una linea ideologica è inaccettabile in una democrazia”, si legge nel documento promosso dalla American Association of Colleges and Universities. I firmatari ribadiscono la disponibilità a confrontarsi su eventuali riforme, ma tracciano una linea rossa netta: no a ingerenze e supervisione ideologica travestita da vigilanza finanziaria.

A fare da detonatore alla rivolta è stata la causa intentata da Harvard presso un tribunale federale in Massachusetts, che accusa l’amministrazione di aver orchestrato “un attacco sistematico” per influenzare il governo accademico dell’università. L’azione legale mette in luce le implicazioni reali del blocco dei fondi: rallentamenti nella ricerca, ostacoli nella formazione, impatto sul prestigio globale dell’intero sistema universitario americano.

In un paradosso emblematico, mentre la protesta divampa nei campus, Trump ha annunciato che terrà i discorsi di fine anno in due atenei strategici: l’Università dell’Alabama, roccaforte conservatrice del Sud, e West Point, simbolo dell’apparato militare. Un segnale chiaro: il confronto tra il presidente e l’università americana non è solo un episodio isolato, ma uno scontro di visioni sul ruolo dell’istruzione in una democrazia.

Con l’avvicinarsi della stagione delle lauree, la tensione resta alta. La ministra dell’Istruzione Linda McMahon ha già annunciato un inasprimento della politica sui debiti studenteschi, segnando un’ulteriore rottura rispetto alla linea più morbida dell’amministrazione Biden. Il timore condiviso in ambito accademico è che si stia aprendo una stagione in cui l’università non sarà più solo un luogo di formazione, ma anche un campo di battaglia politica.

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