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Niente accesso civico ai diplomi di laurea: lo stop del Garante Privacy

Il diploma conterrebbe troppe informazioni personali ed è stato richiesto gli atenei di respingere le richieste di terzi

Niente accesso civico ai diplomi di laurea: lo stop del Garante Privacy

Gli atenei italiani non possono accogliere le istanze di accesso civico presentate da terzi per ottenere copia dei diplomi o certificati di laurea di ex studenti. A stabilirlo è il Garante per la protezione dei dati personali, con il provvedimento n. 31/2025, che interviene su una vicenda specifica chiarendo un principio valido in via generale. Nel caso esaminato, un soggetto aveva presentato a un’università una richiesta di accesso civico generalizzato finalizzata a ottenere la copia del diploma di laurea di un ex studente. Il documento, ha ricordato il Garante, contiene informazioni personali sensibili, come dati anagrafici (nominativo, data di nascita), l’anno di conseguimento del titolo, il corso di studi seguito e la valutazione finale ottenuta. Dati, questi, che per motivi anche strettamente personali «non sempre si desidera portare a conoscenza di soggetti terzi estranei».

Alla luce della normativa vigente in materia di privacy e delle linee guida ANAC sull’accesso civico, l’università ha correttamente rigettato l’istanza. Secondo quanto sottolineato dal Garante, nel caso concreto «dagli atti non emergevano con evidente chiarezza elementi che potessero consentire di ritenere che la conoscenza generalizzata del certificato del soggetto controinteressato potesse essere strumentale, come prevede la disciplina sull’accesso civico, a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico».

Il principio richiamato dall’Autorità è chiaro: la natura dei dati contenuti nei certificati di laurea, unita al particolare regime di pubblicità previsto per l’accesso civico, impone una valutazione stringente. L’eventuale divulgazione a terzi – in assenza di un interesse pubblico concreto e documentato – si tradurrebbe in una interferenza ingiustificata e sproporzionata con il rischio di pregiudizio alla tutela dei dati personali.

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