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LA TESTIMONIANZA

Il racket degli affitti dietro gli abusivi dell'Atc

Una madre di 7 figli, sgomberata da via Scarsellini, rivela: abbiamo sempre pagato tutto, anche le bollette. Ma non spiega a chi

Ha le braccia tatuate, indossa una canottiera variopinta su un paio di pantaloni scuri; una donna di etnia Rom si avvicina ai giornalisti presenti in via Scarsellini, per dire la sua. «I poliziotti sono venuti qui alle cinque di mattina e ci hanno mandati via e hanno impedito ai nostri figli di andare a scuola. Eppure noi abbiamo sempre pagato tutto: l’acqua, la luce, il gas. Abbiamo pagato tutto, fino all’ultimo centesimo». Ovviamente di questi pagamenti Emilio Bolla, il presidente Atc non ne sa nulla e questi versamenti non risultano da nessuna parte. Eppure la nomade insiste: «Ho pagato tutto», e dice anche a chi: «A quelli li», indicando una zona del cortile che alle parole appena pronunciate dalla donna, si svuota come per incanto. Diventa complessa la ricerca di «quelli li» che certo non sono funzionari o esattori di Atc.

Qualcosa in più potrebbero dire la polizia o il nucleo Nomadi della Municipale che sull’ipotesi del racket sulla casa stanno indagando da diverso tempo. I primi sospetti erano emersi nel 2021 dopo l’occupazione di sette appartamenti in queste case popolari da parte di alcune famiglie che erano state sgomberate, prima dal campo di via Germagnano, poi da quello in Strada dell’Aeroporto. «Erano arrivati qui a colpo sicuro - spiega un residente del villaggio delle case popolari -, sapevano dove andare e c’era chi ha aperto loro gli usci degli alloggi».

Famiglie Rom numerose, composte da genitori e figli minorenni, alcuni molto piccoli. In quelle case queste famiglie hanno trovato rifugio, verosimilmente pagando un pizzo anche molto salato a capi bastone della stessa etnia. «E per mettere da parte tutti questi soldi - aggiunge un altro residente -, i piccoli vengono obbligati a chiedere l’elemosina e poi ogni famiglia si è arrangiata come ha potuto», ma le rate sono sempre state versate con regolarità. Ora, le sette famiglie (in totale 58 persone) dovranno trovare una nuova sistemazione, «ma hanno già rifiutato l’intervento dei servizi sociali», dice allargando le braccia in segno di sconforto, una funzionaria di polizia. «Ho la roulotte - aggiunge la donna tatuata -, come del resto tutti qui. E andremo a vivere lì». Ma non sarà una vita nomade, intanto perché ieri in zona non c’erano camper o roulotte e gli “sfollati” se ne sono andati rapidamente e alla chetichella, quasi scortati da chi, c’è da giurarci, ha già promesso loro una nuova sistemazione. Forse non a Torino, certamente in qualche casa o alloggio sfitto nella Cintura, a Vinovo o Nichelino. A tenere banco, tra i silenzi delle donne e le fughe degli uomini verso un chiosco-bar in via Scarsellini, nella “corte” delle case ci sono i loro figli, per la maggior parte adolescenti, e una di loro già mamma-bambina. Sono loro le urla e le imprecazioni che rimbombano da un palazzo all’altro: «Non facciamo male a nessuno e vengono qui a mandarci via». Sono loro, i ragazzini che, in preda alla rabbia e barricati in casa mentre i funzionari forzano le porte d’ingresso, sfogano la loro disperazione distruggendo infissi, frantumando i vetri delle finestre e scrostando i muri degli alloggi. Poi, caricano le loro cose nei sacchi neri della spazzatura e si allontanano insultando poliziotti e carabinieri.

 

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