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VIDEO - Nel palazzo di Torino dove le donne si prostituivano per il crack

Sesso in cambio di droga. Ecco dove avveniva il giro di prostituzione

Il palazzo si trova nel bel mezzo del quartiere dello spaccio ma non è nemmeno tra i più brutti. E infatti si fa fatica a pensare che in quel bel condominio col prato all’inglese, colonne che richiamano antichità e tanto verde sulle balconate si vivesse nell’incubo. Eppure un incubo lo è stato per anni per tante donne, una decina almeno o forse anche di più. Mamme con figli piccoli, ragazze portate lì dai loro fidanzati (pure loro dipendenti dal crack), persino studentesse universitarie. Tutte nel tugurio di via Urbino, a un amen da piazza Baldissera e da corso Principe Oddone, per prostituirsi in cambio di droga. Io ti vendo il mio corpo, tu mi dai il crack così lo fumo. E il giro ha funzionato per anni in via Urbino, finché è stata proprio una studentessa universitaria a vuotare il sacco e denunciare tutto ai carabinieri. A capo di tutto c’era Monique, transessuale 51enne, già condannata a 2 anni e 8 mesi di reclusione in rito abbreviato mentre si è appena concluso il processo per i suoi due complici che gestivano gli incontri con lei nella casa del crack: alla fine, il giudice li ha assolti entrambi. Ad aprile, invece, i due pusher che rifornivano di droga l’appartamento di via Urbino avevano patteggiato oltre un anno di carcere. Ma a far rabbrividire erano i racconti delle donne costrette a fare sesso con i clienti in cambio di un po’ di droga. «Studiavo psicologia all’università e per pagarmi il crack mi prostituivo nella casa», la testimonianza shock della studentessa che ha denunciato. «Sono rimasta in quella casa per 4 giorni e ho fatto sesso con 30, forse addirittura 40 uomini», il racconto di un’altra vittima. Ma come funzionava il giro? Le ragazze in astinenza da crack suonavano il campanello di Monique, e quest’ultima apriva loro la casa. Le vittime si vendevano per 20 o 30 euro, ma invece dei soldi (che andavano a Monique e ai pusher) ricevevano la droga da fumare. Ed erano così dipendenti dallo stupefacente che restavano nella casa di via Urbino a fumarlo, anche per più giorni. In condizioni igienico-sanitarie pietose. Ora, quello stesso appartamento da incubo è abitato. Al suono del campanello, apre un giovane straniero, che però appena si vede inquadrato chiude a doppia mandata la porta. La voglia di parlare dell’argomento tra gli inquilini è poca, anche da parte di quei condomini che in passato avevano fatto un esposto per denunciare il giro di prostituzione: «Non ne voglio più sapere niente, grazie», risponde cortesemente un inquilino raggiunto al telefono. Nemmeno l’amministratore dello stabile, contattato più volte, si fa vivo. All’ultimo piano abita una famiglia, marito e moglie con i bambini piccoli: «Sapevamo che c’era un via vai, immaginavamo per droga. Non certo per prostituzione», ammettono. Il signor Renato, mentre esce dall’ascensore per rincasare, racconta: «Io e mia moglie ce ne vogliamo andare da anni, vogliamo dimenticare questo posto». Poche parole, a dimostrazione che però tanti (o forse tutti) sapevano quello che succedeva. Ma che è rimasto segreto finché una ragazza, per uscire dal suo incubo, ha vuotato il sacco.

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