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L'anniversario
19 Gennaio 2025 - 17:58
Il 16 gennaio 1969, Jan Palach, studente universitario ventunenne, si cosparge di liquido infiammabile e si dà fuoco in piazza San Venceslao a Praga. Al personale ospedaliero, che lo assiste dopo il tragico gesto, ripete: "Non voglio suicidarmi, mi sono dato fuoco come fanno i buddisti in Vietnam, per protestare contro quel che succede qui, contro la mancanza di libertà di parola, di stampa e di tutto il resto." Tre giorni più tardi, il 19 gennaio, Palach soccombe. Nato l'11 agosto 1948 a Všetaty, a 40 chilometri da Praga, Jan Palach riceve dal padre Joseph, anticomunista e affiliato al Partito Socialista, la passione per la storia, la letteratura e la coerenza morale. Cresce nella fede evangelica della madre e, terminato il ginnasio, intraprende gli studi prima in economia e successivamente in filosofia presso l'Università Carlo di Praga. Entusiasta sostenitore della stagione riformista della Primavera di Praga del 1968, Palach partecipa con fervore alle assemblee e agli incontri che animano una società civile in cerca di libertà. Tuttavia, questo periodo di riforme viene brutalmente interrotto il 21 agosto 1968, quando le truppe del Patto di Varsavia invadono la Cecoslovacchia. La libertà di stampa viene soppressa, e i diritti di riunione e di sciopero sono fortemente limitati. Ogni manifestazione contraria all'occupazione sovietica è repressa con durezza, e anche lo sciopero del 18 novembre organizzato dal Comitato d'azione studenti praghesi (CASP) fallisce per la mancanza di sostegno popolare. Di fronte a questa situazione drammatica, Jan Palach concepisce un'azione dimostrativa eclatante. Durante le festività natalizie, incontra la sua ex maestra delle elementari e le esprime il proprio sconforto "per il torpore che ha preso la società cecoslovacca e della necessità di ridestarla."
Il 6 gennaio 1969, scrive al leader studentesco Lubomír Holeček proponendo l'occupazione della sede della Radio cecoslovacca a Praga, con lo scopo di incitare i cittadini a scioperare contro la censura. Dieci giorni dopo, il 16 gennaio, indirizza quattro lettere di addio, firmate "la prima fiaccola," all'Unione scrittori, a Holeček, e all'amico Ladislav Zizka. La quarta missiva viene ritrovata nella sua borsa sui gradini del Museo nazionale in piazza San Venceslao, di fronte al Palazzo Federale, simbolo del potere statale. Nel testo, Palach scrive: "Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l'abolizione della censura e la proibizione di 'Zprávy' (Notiziario delle forze di occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a queste richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà." Nel pomeriggio, si consuma l'epilogo tragico. Nei pochi momenti di lucidità prima della sua morte, Palach chiede di essere aggiornato tramite i giornali, per comprendere se il governo abbia accolto le sue richieste. La camera ardente, allestita presso la facoltà di filosofia, diventa luogo di un pellegrinaggio ininterrotto che coinvolge non solo i praghesi ma l'intera nazione. Il 25 gennaio, giorno delle esequie, una folla silenziosa e commossa partecipa al saluto finale per il giovane con cui hanno condiviso il sogno di libertà.
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