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Drammi italiani
13 Marzo 2024 - 05:00
Nella Torino del 1974, sulla scia delle contestazioni del ’68, il sistema psichiatrico italiano viene messo in discussione da un processo che fa la storia. Per la prima volta le testimonianze dei “matti” vengono ascoltate per giudicare l’operato del dottor Giorgio Coda, tristemente noto col soprannome di “elettricista” per la sua abitudine a trattare i pazienti psichiatrici con l’elettroshock.
Ma i suoi pazienti a Villa Azzurra non sono come tutti gli altri, sono bambini, che lui e gli infermieri dell’ospedale chiamano “Arnesi”. Arnesi in dialetto piemontese è una parola che viene usata per indicare un ribelle, una persona difficile da gestire. E così i bambini di Villa Azzurra vengono chiamati “arnesi”, e i loro nomi dimenticati e sostituiti da numeri. Oggi quel luogo, in via Lombroso ai confini con Collegno per fortuna sono stati chiusi e, come si vede dalle immagini di Torino Cronaca, in stato di abbandono. Ma, se i muri sono vuoti, non è così per quanto riguarda i ricordi di quei poveri bambini sopravvissuti all'inferno.
Le torture a cui venivano sottoposti terminarono solo nel luglio del 1970 quando, grazie ad un’inchiesta giornalistica del settimanale L’Espresso, l’Italia intera venne a conoscenza dell’orrore dei manicomi e Giorgio Coda fu condannato a una pena mai scontata.
Due autori e giornalisti, Elisabetta Rasicci e Pasquale Formicola con la supervisione di Roberta Lippi, sono tornati su questa triste pagina italiana con un approfondimento di 6 puntate, oltre 6 ore di durata, attraverso 18 interviste realizzate per oltre 800 minuti di materiale audiovisivo registrato, restituendone un podcast proprio dal titolo “Arnesi” disponibile sulla piattaforma Audible prodotto da Storielibere.
«Arnesi parte da una forte esigenza narrativa: in un momento socio-politico in cui spesso vige il revisionismo storico sui principali eventi che hanno portato alle lotte per i diritti civili in Italia è doveroso raccontare come queste svolte fossero scaturite dall’iniziativa di persone comuni che semplicemente volevano fare il loro lavoro e portare un sentito cambiamento nella società. La vicenda racconta una lotta di pochi contro un sistema di potere che mirava a conservare lo status quo, al controllo sociale attraverso, non l'educazione, ma la repressione dei più deboli. Arnesi, in pratica, ci ricorda come eravamo solo poche decine di anni fa e come non dobbiamo mai più tornare a essere», spiegano Rasicci e Formicola.
Per la realizzazione del podcast hanno incontrato uno dei bambini, oggi adulto, di Villa Azzurra. «Abbiamo incontrato Spartaco, che è entrato nel manicomio degli adulti di Collegno a 3 anni e a 6 anni venne trasferito a Villa Azzurra, è stato uno dei primi bambini a subire le sevizie dell’elettricista Giorgio Coda. Spartaco è stato abbandonato dai genitori perché era semplicemente povero ed ha vissuto tutta la sua infanzia in manicomio. Intervistarlo è stato un colpo al cuore. Ricordava quei giorni come se ci stesse raccontando un brutto sogno e molte di quelle sensazioni che si accavallavano nella sua mente ce le trasmetteva con lo sguardo. Oggi invece vive una vita completamente diversa, nella tranquillità di una famiglia che si occupa di lui», così gli autori.
Dopo quel processo arrivò nel 1978 la chiusura definitiva dei manicomi in Italia con la legge Basaglia. «A quei tempi l’inchiesta dell’Espresso fu uno schiaffo al paese. Immaginate la reazione dei lettori a quella foto, che in una domenica d’estate, così senza preavviso, si trovano la foto di una bambina nuda, legata mani e piedi. È stato uno shock! Ma uno shock necessario per portare la discussione sulla revisione del sistema psichiatrico ad un livello superiore, alla formulazione di una legge che decretasse la chiusura di tutti i manicomi, che non erano costruiti per curare ma per imprigionare le persone. Purtroppo solo guardando il trattamento rivolto ai bambini l’argomento è diventato di rilevanza nazionale».
Sono passati più di 50 anni ma la storia è ancora attuale. «Il trattamento delle malattie mentali è un argomento di dibattito molto sentito oggi. Le conseguenze degli anni del Covid nella diffusione delle diagnosi di depressione soprattutto nei più giovani, è un tema che merita un approfondimento e bisogna guardare al percorso fatto per eliminare le aberrazioni che il sistema naturalmente produce. Per evitare di tornare al passato, con affermazioni del tipo: “Riapriamo i manicomi”, perché anche il linguaggio deve essere adeguato ai tempi e non rievocare scenari da “bei tempi andati”, che poi come descriviamo nel podcast, di bello non avevano proprio nulla».
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