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L'EMERGENZA
11 Maggio 2023 - 06:50
La «sentenza», come la chiamano in molti, fa ancora tremare le vene e i polsi. E in Piemonte, ogni ventiquattro ore, qualcuno riceve una diagnosi di sieropositività. Una realtà che ha toccato negli ultimi dieci anni almeno 4.600 persone che si sono sottoposti agli esami per l’Hiv, nonostante le richieste si siano ridotte di quasi un quarto nel primo anno della pandemia. Solo la punta di un iceberg il cui sommerso è quasi impossibile da portare a galla, senza rafforzare una vera cultura della prevenzione contro un virus e una malattia che dal 1982 ad oggi in Italia hanno colpito 72.034 persone. Di cui oltre 46mila decedute prima del 2019.
Le storie di chi l'ha scoperto troppo tardi
«Quando l’ho presa io, trent’anni fa, era la malattia dei tossici e delle prostitute. E chi riceveva la diagnosi, se non si isolava per conto suo, veniva isolato da mondo». Mimmo, 65 anni, non fa gran mistero dei suoi trascorsi di schiavitù dalla cocaina e dall’eroina, lo “scivolo” che lo ha portato a contrarre il virus. Racconta la sua storia a margine del seminario organizzato dal Coordinamento italiano delle case alloggio per persone con Hiv e Aids a Torino che, per tre giorni, si interrogherà sulle prospettive future degli ospiti di associazioni come “Casa Giobbe”, dove 39 malati stanno «riscoprendo la vita». Questo l’obiettivo che rivendica il vicepresidente Marco Peretti, confermando come negli ultimi anni, in particolare, la percezione della malattia sia cambiata e anche le finalità di una comunità come la loro. «Se fino a qualche anno fa, non essendoci le terapie che oggi permettono di condurre una vita normale, accompagnavamo alla morte i nostri ospiti, oggi possiamo affermare con certezza che li accompagniamo alla vita».
Una vita di cui Mario, 67 anni, ha ripreso in mano le redini. «Nonostante la malattia e grazie alle cure, sono riuscito a riprendermi in mano una vita che mi sembrava entrata in un buco nero da cui non sarei più uscito» racconta Mario, ripercorrendo con non poca emozione quei giorni drammatici in cui ricevette quella che molti definiscono la «sentenza». Lui, infatti, il virus lo ha contratto dalla sua compagna. In modo del tutto inconsapevole. «L’accompagnavo all’Amedeo di Savoia perché seguiva una terapia farmacologica e un giorno, quasi per caso, il medico mi chiese perché non avessi mai pensato di fare anche io l’esame per l’Hiv. Non credevo fosse necessario e, invece, avevo già preso il virus». Anche perché «prima si scopre di avere il virus e più alte sono le probabilità di potersi curare ed evitare malattie più gravi» come spiega l’educatrice Cornelia Cruceru. «Oggi ci sono farmaci che permettono di vivere una vita normale ma è necessario che la cultura della prevenzione sia molto più diffusa».
«Se ne parla troppo poco ma una diagnosi precoce salva la vita»
Di Hiv e Aids, infatti, si parla ancora troppo poco, quasi come fosse un “tabù”. Eppure, oggi, i farmaci ormai consentono al malato una vita quasi normale, anche sessuale, ma purché la malattia venga diagnosticata presto, per questo è importantissimo diffondere tra la popolazione attiva sessualmente, soprattutto i più giovani una cultura della prevenzione e del controllo costante con i test. Ed è appunto il senso del seminario nazionale che, fino al 12 maggio, alla Cascina Roccafranca metterà a confronto ospiti, educatori e responsabili afferenti al Coordinamento italiano delle Case alloggio per persone con Hiv.
Un incontro per incrociare dati, esperienze di cura dei malati in case alloggio e a domicilio, ma anche fare il punto sul futuro del terzo settore alla luce dei disagi delle persone dell'era contemporanea. A introdurre i lavori sono stati Giuliano De Santis, presidente dell'associazione “Casa Giobbe” e gli assessori alle Politiche sociali di Regione Piemonte e Città di Torino, Maurizio Marrone e Jacopo Rosatelli. «Una diagnosi precoce oggi può permettere a una persona che ha contratto l'Aids anche di avere un figlio - ha detto De Santis - grazie a farmaci impensabili fino a pochi anni fa. Per diffondere questa consapevolezza, è stato attivato, tra l'altro, il programma “Fast Track” che consiste nel portare il necessario per fare il test veloce nei luoghi di massima aggregazione giovanile».
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