l'editoriale
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24 Giugno 2016 - 15:30
Dal 23 marzo 1988 a oggi sono passati poco più di ventotto anni. Molti. Troppi. Ma anche un tempo, purtroppo, perfettamente «nella media» , almeno per tutti quei delitti italiani ancora avvolti dal mistero e candidati all'oblio. Quel giorno, Luca Orioli e Marirosa Andreotta, «i fidanzatini di Policoro», vent'anni lui e ventuno lei, vennero trovati cadaveri nel bagno della casa della ragazza, a Policoro, Basilicata, sulla costa jonica.
Un incidente, dissero subito medici legali, periti, magistrati, avvocati, polizia, preti, politici, e anche la famiglia della ragazza. Una disgrazia, dissero sempre all'unisono gli stessi soggetti, causata da folgorazione, o da intossicazione di monossido di carbonio, o insomma da quel che vi pare, purché fosse una qualunque altra causa che non facesse pensare al duplice omicidio.
I genitori di Luca Orioli, Giuseppe e Olimpia, non credono a questa versione e il papà per cinque anni, tutti i giorni, va nella stazione dei carabinieri di Policoro, si siede e aspetta. Finché un giorno arriva il nuovo capitano, Salvino Paternò, e gli chiede chi è, cosa ci fa lì, cosa vuole e perché tutti i giorni aspetta immobile sulla stessa sedia in sala d'attesa.
Profondo giallo di questa settimana comincia da qui, da un'attesa lunga, infinita, assurda, per una giustizia che non è arrivata mai e chissà se mai arriverà, tra depistaggi acclarati, false testimonianze e false perizie, clamorose manomissioni della scena del delitto e tutto quanto potesse servire a nascondere «un segreto terribile», che Marirosa svela a Luca e che costa la vita a entrambi. Ma la giustizia in questo caso non fa «il suo corso », non ne vuole sapere, non parte e non arriva, si fa attendere, proprio come Godot, mentre il circo della vita propone sempre gli stessi numeri, e anche se acrobati e saltimbanchi cambiano, l'importante è che recitino sempre la stessa parte.
Si riesumano i cadaveri, una nuova perizia afferma con forza che si tratta di evidente omicidio, del caso si discute anche in Parlamento, l'allora ministro della Giustizia, Piero Fassino, nel 2000, parla di «insufficienza degli accertamenti espletati» , e tuttavia non accade nulla. Il papà di Luca intanto muore e ad aspettare giustizia resta sua madre, Olimpia. Il giorno del delitto Marirosa Andreotta era tornata da Napoli, dove era iscritta alla facoltà di Architettura mentre Luca Orioli, che studiava Giurisprudenza all'Università Cattolica di Milano, era rientrato da qualche giorno a Policoro per festeggiare l'onomastico del padre Pino.
Antonia Giannotti, la madre di Marirosa Andreotta, la sera del 23 marzo 1988, intorno a mezzanotte è rientrata in casa e in fondo al corridoio ha visto la luce provenire dalla porta aperta del bagno. Quando è arrivata di fronte alla porta, ha visto sul pavimento il corpo disteso di Luca Orioli, mentre il cadavere della figlia galleggiava nella vasca piena di acqua. Olimpia Fuina, la madre di Luca Orioli, ha ricordato che quando arrivò a casa Andreotta, dove c'era già molta gente, riuscì a scorgere dalla porta semi- aperta la gamba del figlio che giaceva per terra. Secondo il medico legale, i due giovani erano stati folgorati da una scarica elettrica. I corpi dei fidanzatini di Policoro, però, presentavano segni evidenti di colluttazione.
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