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Mastio della Cittadella

I Macchiaioli a Torino: ecco i quadri mai visti

Dal oggi al 3 febbraio al Mastio della Cittadella l’esposizione di decine di opere provenienti da collezioni private internazionali

Non sono le grandi tele ormai note dei Macchiaioli che si possono vedere nei musei, le opere dei Macchiaioli nella mostra che si apre oggi al Mastio della Cittadella sono meno conosciute, perché provengono tutte da collezioni private (con l’eccezione di un prestito della collezione Palazzo Foresti di Carpi), per questo le occasioni per ammirarle sono davvero poche. Merita, dunque, una visita la rassegna “I Macchiaioli e la pittura en plein air tra Francia e Italia”, prodotta da Navigare Srl e allestita fino al 1° aprile prossimo nel Museo Storico Nazionale d’Artiglieria.


In esposizione una novantina tra olii e acquerelli. Quadri piccoli per dimensioni ma con firme di grandi artisti, da Telemaco Signorini a Giovanni Fattori a Silvestro Lega, Antonio Fontanesi, per citarne alcuni, e che rendono perfettamente conto, grazie anche alla felice intuizione della curatrice Simona Bartolena di aggiungere un commento nelle didascalie delle opere, di quel movimento che nella seconda metà dell’Ottocento rivoluzionò la pittura creando forme nate dalla luce e dalle macchie di colore.


Tutto ebbe inizio dalla scuola francese di Barbizon, documentata nella rassegna dai lavori di Constant Troyon, Charles-François Daubigny, Théodore Rousseau, Jean-François Millet, Jean-Baptiste Camille Corot, Julien Dupré. Lì nacque la pittura en plein air e lì il paesaggio acquisì la dignità di genere autonomo - «fino a metà Ottocento nelle accademie non esisteva la cattedra di paesaggio» spiega la curatrice -. Di lì la scoperta del plein air anche in Italia, di cui si fece tramite Stefano De Tivoli, la cui evoluzione viene narrata nelle 10 aree tematiche che compongono la rassegna. Ecco quindi i paesaggisti della scuola napoletana, come i fratelli Giuseppe e Filippo Palizzi, o la Scuola di Rivara in Piemonte, con capostipite Antonio Fontanesi.


In Toscana, in particolare, giocò un ruolo fondamentale il famoso Caffè Michelangelo di Firenze, il primo caffè letterario della città toscana, ritrovo dei Macchiaioli e degli attivisti del Risorgimento. E proprio in pieno spirito toscano, goliardico e burlone, sono le caricature in mostra che i Macchiaioli erano soliti fare tra di loro, come quella di Odoardo Borrani fatta da Giovanni Boldini, o quelle di Angiolo Tricca, Eugenio Cecconi e Vito D’Ancona, Telemaco Signorini. A quest’ultimo, a Telemaco Signorini si fa risalire il termine “Macchiaiolo”. «Alla Promotrice del 1856 - è ancora Bartolena - Signorini si era visto respingere due opere, perché, gli avevano detto, in modo dispregiativo, “lei macchia la tela”. Fu così che si guadagnò la nomea di “macchiaiuolo”» .

Una sezione è poi dedicata al rapporto tra i Macchiaioli e la fotografia. Molti di loro, infatti, come ad esempio Cristiano Banti e Vincenzo Cabianca, scattavano foto alle quale ispirarsi per i loro dipinti, salvo poi distruggerle perché all’epoca la fotografia era demonizzata. Tra le curiosità in mostra anche un piccolo lavoro di Giovanni Fattori, “Strada solitaria”, che l’artista dipinse sul coperchio di una scatola di sigari, lasciando tratti ben visibili del supporto ligneo, compresa la scritta con il marchio dei sigari. Il percorso si conclude con un tema dedicato all’eredità dei Macchiaioli, raccolta da artisti come Adolfo, Angiolo e Ludovico Tommasi, Silvestro Lega e i fratelli Francesco e Luigi Gioli.

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