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A Oulx la tappa finale verso l’Europa: «Ogni mese passano quasi in 2mila»

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Medici e infermieri di Medu e Rainbow 4 Africa danno l’assistenza sanitaria ai migranti che “sbarcano” a Oulx di notte. Al resto dell’accoglienza pensano gli operatori della Fondazione Tabita onlus, tra cui Arnaud: «Sono arrivato con il barcone e adesso lavoro per accogliere gli altri» sorride il 27enne originario della Costa d’Avorio. Poi ci sono i volontari, che consegnano cibo e abiti usati. Soprattutto scarponcini, pantaloni e giacconi da sci: «Vestiti da sciatori danno meno nell’occhio ed è meno probabile che li fermino a confine». Ultimo atto, i volontari accompagnano a prendere l’autobus: «Poi ci fermiamo: mica vogliamo essere arrestati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Funziona così l’ultimo miglio italiano della cosiddetta “rotta balcanica”, che passa dalla Turchia e arriva fino in Francia. In mezzo c’è il rifugio Massi di Oulx, di proprietà della Diocesi di Torino. La struttura, appena ampliata, ha 74 posti letto divisi su tre piani, cui si aggiungono magazzini, ambulatori e posti d’emergenza nei container esterni: «Gli arrivi vanno a periodi, sia come flussi sia come nazionalità - entra nel merito Fabio Di Girolamo, infermiere di Rainbow 4 Africa - Accogliamo persone partite due o tre anni fa, che si spostano a tappe e arrivano qui col passaparola. Ci lasciano i dati e restano una notte, in modo da garantire il ricambio. Arriviamo anche a 2mila accessi al mese, per un totale di 15mila l’anno». Tutte persone che passano e proseguono, senza che ci siano informazioni ufficiali su di loro. In un sistema paradossale, in cui tutti sanno che funziona così ma nessuno trova una soluzione. Allora si va avanti così, grazie alla solidarietà e a un rifugio che costa mezzo milione di euro l’anno tra utenze e spese, compresi gli stipendi di operatori e sanitari. I fondi arrivano da Diocesi, Prefettura, fondazioni e donazioni: ieri c’erano volontari che consegnavano cibo e abiti. Come gli scout di Pino Torinese, arrivati in treno per portare aiuti e partecipare alle pulizie. Chi lavora o fa il volontario si spinge fino a un certo punto: al massimo danno indicazioni a Cesana o Claviere. Poi i migranti restano soli nel loro tentativo di varcare il confine “in the forest”, come dicono loro, e raggiungere Briançon: «Quando c’è stata tensione fra Italia e Francia, i respingimenti erano molti di più - ricorda Di Girolamo - Le maglie si allargano e si restringono in base al momento».
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