l'editoriale
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25 Settembre 2022 - 07:54
Possibile rubare un’opera d’arte davanti a migliaia di persone? Possibile, se i “ladri” hanno la divisa di un esercito invasore; meglio ancora, se si arrogano il titolo di pretesi “liberatori”. È quanto accadde a Venezia, dove i soldati della Francia Rivoluzionaria saccheggiarono la città e smantellarono la pregevole quadriga di San Marco per portarla a Parigi come bottino di guerra.
A dirla tutta, i Cavalli Corinti erano già stati prelevati dalla loro sede originaria proprio dai veneziani: correva l’anno Domini 1204 e i crociati avevano sottratto questo ed altri tesori alla capitale della cristianità orientale, quella Costantinopoli che ormai appariva sempre più in declino. Ma c’era un “ma”: i crociati che avevano sottratto i capolavori della capitale bizantina non si erano fregiati del titolo di “liberatori”. Non liberavano niente e nessuno. Prendevano e basta; e questo è brutto, certo, ma fa parte delle regole del gioco. I francesi della Révolution, invece, si presentavano al mondo come anime candide, amici dei popoli d’Europa; amici dei quali era meglio non fidarsi. Lo sperimentarono gli stessi italiani, che aprirono volontariamente la porta ai presunti amici: i giacobini della penisola (Foscolo in testa) si schierarono con i nuovi arrivati, sperando di essere “liberati”.
La fregatura era dietro l’angolo: Napoleone non fu il liberatore sperato, Foscolo si mangiò il fegato e scrisse le Ultime Lettere di Jacopo Ortis. Nel mentre, la soldataglia smantellava opere d’arte da chiese e conventi, devastava le biblioteche e portava in Francia colossali sculture come la Quadriga di San Marco, che andava ad ornare l’arco di Trionfo del Carosello. Vatti a fidare degli amici, verrebbe da dire, specie quando si chiamano Napoleone Bonaparte e vogliono creare il più grande museo del mondo. Solita grandeur parigina.
Napoleone inviò in Italia un suo uomo, il coltissimo e paranoico Vivant Denon, che - lista della spesa alla mano - si cimentò in una lunghissima caccia al tesoro richiedendo in “prestito” opere d’arte che, nelle sue intenzioni, sarebbero rimaste per sempre in Francia. Ma il barone Denon non poteva prevedere che il suo imperatore un brutto giorno perdesse il trono e che a Versailles tornassero i Borbone. Luigi XVIII, soprannominato sprezzantemente il “re poltrona”, non era esattamente il più simpatico dei Borbone e temeva la reazione popolare dei pur molti simpatizzanti del regime bonapartista. Come spiegare a quegli scavezzacollo che le nazioni d’Europa richiedevano indietro le opere d’arte trafugate dall’imperatore dei francesi? Luigi XVIII demandò l’imbarazzante spiegazione a Denon, il quale si dimise e la patata bollente toccò in buona parte al suo vice, Levallé. Alla fine, ci pensarono i soldati - quelli delle nazioni vincitrici - a riprendere il bottino. Il 25 settembre 1815, i soldati e la cavalleria austriaca acquartierata a Parigi smantellarono la Quadriga per riportarla a Venezia. Tutti contenti, dunque, tranne i francesi (e Foscolo), che non vide il ritorno della leggendaria scultura perché era ancora in esilio in Svizzera.
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