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Pietroburgo niet, così Mosca divenne capitale della Russia

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Addio, Pietroburgo. La capitale russa si sposta a Mosca. Nella complessa situazione geo-politica successiva alla rivoluzione di ottobre, Lenin decise di spostare la capitale del fu impero russo in una località più centrale e meglio difendibile; Mosca, per l’appunto. La decisione avvenne due giorni dopo la firma del trattato di Brest-Litovsk e doveva avere - almeno, questa era la vulgata ufficiale - una valenza squisitamente temporanea. In realtà, molti sapevano che lo spostamento era anche un simbolo: l’emblema della fine di un regime. Ma, paradossalmente, gli zar avevano spostato la capitale sul Baltico, strappando alla Svezia la regione storica dell’Ingria per costruire una splendida città dal sapore europeo. Una capitale aperta al mondo, vicina all’Europa perché la Russia guardava ad Ovest con sguardo meravigliato; i bolscevichi, invece, spostarono nuovamente la capitale nella vecchia Mosca, chiudendo la Russia a riccio e facendo tornare indietro le lancette della storia, almeno dal punto di vista amministrativo.

È surreale, ma gli autocrati russi erano più moderni e concilianti degli inflessibili guardiani della Rivoluzione, che traslando la capitale a Mosca chiusero di fatto la Russia all’Occidente e aprirono la strada alla svolta orientale. Con il dietro-front deciso da Lenin per motivi ufficialmente strategici, la Russia rinnegava la stagione zarista e le lungimiranti vedute di Pietro il Grande, “scoprendo” dopo trecento anni tutta l’immensa e desolata propaggine asiatica. Il baricentro del più grande paese del mondo si spostò verso gli Urali e oltre, sospettando - anzi, avendo la certezza - che dall’Occidente la Rivoluzione potesse avere soltanto rogne.

Ecco, se vogliamo questo è il precedente che ha sancito lo spostamento degli interessi russi verso Oriente e, da Mao in poi, verso la Cina. Lenin vide giusto: la Rivoluzione si salvò dalle ingerenze occidentali, i bianchi furono sconfitti e la Russia divenne Unione delle Repubblica Socialiste Sovietiche: vale a dire, un “impero comunista” che per emergere e per contrapporsi agli Stati Uniti e all’Inghilterra doveva necessariamente coltivare il suo ruolo egemone nell’Asia profonda: non più “ponte” tra Occidente e Oriente ma volto nuovo - o antico? - di un Oriente che ha sempre fatto paura agli occidentali, fin dall’età romana. Un Oriente con la sua tradizione peculiare, fortissima e identitaria. Un Oriente che spaventa i piccoli uomini dell’Occidente per la sua immensità quasi onirica; un po’ alla Deserto dei Tartari. Un Oriente magico e fiabesco, terribile e sconfinato sul quale Lenin innestò il rassicurante slogan dell’uomo nuovo forgiato dal comunismo, ma senza poi convincere troppo quelli dall’altra parte della cortina. Oggi, non è che le cose siano poi molto diverse. Tant’è che la capitale della Russia resta saldamente a Mosca, la città santa, la “terza Roma”: peculiare proprio perché totalmente e indubitabilmente russa.

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