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In che senso, scusi?

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Il linguaggio è un campo minato. La manìa del “politicamente corretto”, che impone eufemismi barocchi al posto di facili parole ritenute indelicate, fa ridere. Non esistono più spazzini (non nel senso che mancano per le strade, quello si sa, anche se poi a libro paga ne abbiamo tanti…), ma operatori ecologici. Non domestiche, ma colf. Non direttori del personale, ma responsabili risorse umane. Si chiamano “attenuazioni”. Anche la politica è una miniera di attenuazioni. Convergenze parallele, doppi forni, governi balneari, stagflazioni, ammortizzatori, scivoli, tavoli aperti… Così succede che certi termini scelti per praticità (cioè per riunire più concetti in una sola parola) ottengono spesso l’effetto opposto. Prendete la parola “contenzioso”: la usano i sindacati, ma anche i tribunali, le banche, i politici, gli storici, persino le coppie (“…amore, dobbiamo risolvere il contenzioso fra noi”). L’interlocutore non capisce al volo, deve scremare, mettere a fuoco, e s’incasina. Addio praticità. Un altro esempio è il termine ‘mobilità’. Una volta c’erano i treni e i tram, adesso c’è la mobilità su rotaia. Auto, moto, bici, camion, pullman? Tutto diventato mobilità su gomma. Ma ‘mobilità’ è stato scelto anche per descrivere lo stato di pre-licenziamento dei dipendenti, e ne son nate gaffes clamorose. Un noto giornale, torinese per annunciare una delle tante promesse fatte (e poi tradite) sulla sorte di Mirafiori, intitolò a tutta pagina: “A Mirafiori il polo nazionale della mobilità”. In quel momento lo stabilimento di corso Agnelli aveva 2000 operai in mobilità. Si saranno sentiti presi in giro? Forse. Ma a furia di violentare il linguaggio, capita. collino@cronacaqui.it
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