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La personal declutter

young man with a pile of folded clothes

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Tra i mestieri nuovi e strani che la società dei consumi ha fatto nascere c’è quello del “personal shopper” e quello del “personal declutter”, che sono l’uno l’esatto contrario dell’altro. Il primo ‘professionista’ ti accompagna a fare shopping, studia i tuoi gusti, ti consiglia, ti porta nei negozi giusti, e per una parcella (di solito salata) ti aiuta a riempire gli armadi di casa. Il declutter invece ti aiuta a vuotarli quando non ci sta più niente.

Di solito sono donne non giovanissime che ti vengono in casa, buttano via quello che non ti serve, risistemano gli armadi e tiretti, e costano 70 euro l’ora. Tempo medio del loro servizio, due ore. Entrambe le figure professionali ti affiancano, perché devono capire i tuoi gusti per decidere cosa comprare o cosa buttare. Ma mentre per la shopper conta molto la sua conoscenza dei negozi ‘giusti’ (sempre che non prenda la stecca anche da loro…) nel secondo caso non c’è bisogno di conoscenze.

Il declutter al massimo ti potrà dire: “perché tenere 5 golf blu quando ne bastano 2?” Ma sei sempre tu a decidere. Ed è quella la parte più dura. Senza essere accumulatori seriali (sono quelli che stipano la casa con migliaia di oggetti raccolti per strada o nei cassonetti, e sono malati) si può essere anche “formiche” come me, che non butterei via niente, e soffro fisicamente quando lo devo fare.

Generazioni di povertà e case vuote ci spingono a conservare tutto, e non manca l’incoraggiamento degli avi col proverbio “tut a ven a taj, anche j’unge për plé l’aj” ("tutto può servire, anche le unghie lunghe per pelare l’aglio”. Violare questo principio è la vera difficoltà. Forse la declutter riesce a convincerti. Ma con me troverebbe duro.

collino@cronacaqui.it
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