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Ciao, 1540

Blurred interior of room with wooden surface

Foto: @Djemphoto - Depositphotos

Ci passo spesso davanti a quell’alloggio al primo piano di Corso Ferrucci 6 dove ho trascorso tutta la mia infanzia, la mia adolescenza e la mia gioventù fino a 20 anni, quando mi son sposato. Adesso c’è lo studio dell’avvocato Lodigiani, ma non ho mai voluto metterci piede. Non sopporterei di vedere scrivanie nella stanza dove mia madre è morta, archivi in quella dove mio padre ha esalato l’ultimo respiro nelle mie braccia, fotocopiatrici e computer nella camera dove giocavamo e dove ho fatto i miei primi passi reggendo come appigli due gomitoli di lana, severe biblioteche in quel salotto dove c’era il pianoforte a mezza coda e il divano largo sul quale mi rifugiavo quando facevo la pipì nel letto, per non finire la notte sul bagnato. Prima del trasloco, nel ‘92, dopo la morte di mia madre, l’ho girata tutta, quella casa, stanza per stanza, riprendendo ogni angolo, mobile, quadro con la telecamera. Persino il bagno. Pensavo che mi avrebbe fatto piacere rivedere quel film, da vecchio. Invece non l’ho mai guardato. Non ne ho bisogno. È tutto nella mia memoria, nei più piccoli dettagli, compresi soprammobili e tappeti. In più ricordo perfettamente anche gli odori, i rumori, le luci. E mi vengono in mente le ore passate alla finestra della stanza di Magna Lia, in ginocchio su una sedia perché non arrivavo al davanzale. Chi ha detto che i bambini corrono sempre? Io passavo ore a guardare in strada. Davanti a noi sboccava via Susa, e l’H girava a sinistra in corso Ferrucci. Io leggevo il numero dei bus e mi ero affezionato al 1540, di modello diverso. Lo aspettavo ed ero contento se arrivava. Lo salutavo con la manina. L’avvocato Lodigiani non se le immagina neanche, queste cose.

collino@cronacaqui.it
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