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Burle storiche

Nel dopoguerra la gente scherzava di più, forse perché non c’era la Tv o perché divertirsi costava, mentre gli scherzi erano gratis. Non li facevamo solo noi goliardi, ma anche la gente normale. La burla più comune era quella di far credere ai gonzi cose non vere. A volte si innestavano addirittura scherzi su altri scherzi, come quando io, ai tempi del mio pontificato, feci affiggere in tutta la città dei manifesti con lo stemma del Comune e la firma del sindaco su cui si annunciava la riapertura sperimentale, per la sola sera del 20 settembre (anniversario della chiusura dei casini), di un postribolo a Palazzo Madama. Per quanto assurda, la cosa fu creduta da un bel po’ di tonni che si presentarono la sera del 20 al portone del palazzo. Ma su questo scherzo si innestò quello dei borghigiani del Pilonetto, che con la complicità di un vigile urbano loro amico convinsero il calzolaio sardo del quartiere, noto credulone, a sborsare una discreta cifra per assicurarsi, dato che i biglietti erano esauriti, uno degli ultimi inviti disponibili fra quelli respinti dai Vip. Gli raccomandarono di presentarsi a Palazzo Madama con un garofano rosso all’occhiello, per essere riconosciuto e ricevere il prezioso cartoncino. Ma quando lui arrivò nel gruppo di gonzi che avevano creduto al manifesto fu subito avvicinato da due pivie (complici del vigile esca): “Eccone un altro della banda del garofano! Lei è colpevole di bagarinaggio, truffa e sostituzione di persona, venga in questura”. Inutile dire quanto supplicò e pianse il tapino prima che uscissero dall’ombra i borghigiani a sfotterlo tra lazzi e risate. E la somma anticipata? Servì per una bella marenda sinòira in piòla, col “sempre sia lodato” a capotavola. collino@cronacaqui.it
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