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torino via leoncavallo
08 Maggio 2023 - 06:59
Immagine di repertorio
«Il branco è quando tanti ragazzi insieme ti persuadono dicendo qualcosa che va a tuo favore e poi all'ultimo tutto cambia». «All'inizio erano amichevoli, poi hanno cambiato atteggiamento. Temevo una rissa». È un catalogo di sfottò e violenze verbali che in ogni momento minacciano di sfociare in violenze fisiche quello descritto da due adolescenti vittime di rapina ad opera di una "gang". Atteggiamenti capaci di intimidire due ragazzini che anche davanti a un collegio giudicante, due anni dopo i fatti, tentennano e consegnano versioni puntellate di «non ricordo».
È successo qualche giorno fa davanti al collegio presieduto dalla giudice Melania Cafiero, che sta celebrando un processo per rapina a carico di due 21enni, 19enni all'epoca dei fatti. Stando ai racconti forniti dalla vittima, allora 15enne, nel pomeriggio del 3 febbraio 2021 un gruppo di coetanei accerchiò lui e un suo amico mentre erano seduti su una panchina in via Leoncavallo, nel quartiere Barriera di Milano.
«Prima hanno attaccato S., erano 12 o 15 ragazzi e ci hanno accerchiato. Ci hanno chiesto di fare una foto col mio giubbotto, un Moncler, perciò me lo sono tolto e l'ho lanciato a uno dei ragazzi, che stava su un monopattino. È subito scappato via. Dopo, un altro mi ha messo il ginocchio sulla nuca», ha raccontato in aula il giovane. «Ci disse “O me lo dai, o vi picchiamo tutti insieme», ha riferito S., l'amico. Poco più tardi la denuncia al commissariato e un giro di ricognizione con la volante per riconoscere i volti degli aggressori, che ha consentito di identificarne e arrestarne due.
Da lì in poi, la vittima racconta di pressioni e velate intimidazioni. «Su Instagram in molti mi chiesero di ritirare la denuncia, uno mi mandò dei messaggi vocali, altri mi scrissero. Mi dicevano “Non infamarci”. “Se togli la denuncia ti faccio restituire il giubbotto”, mi disse il fratello di uno del gruppo. Non usò le maniere forti, anzi mi sembrava che volesse minimizzare e convincermi che era tutto a posto», ha riferito il giovane, incalzato dalle domande del pm Gianfranco Colace. Un pressing che a un certo punto avrebbe indotto la vittima ad assecondare le richieste che provenivano dai quattro account Instagram. «Ero spaventato e avevo paura a uscire di casa. Pensavo: “O li tolgo dai guai o finisce male”. Mi sono detto: “Faccio finta di niente, così non ho problemi». Una soggezione che a un certo punto gli avrebbe fatto scrivere: «È stato un momento di panico, ti assicuro che domani è tutto risolto». Anche davanti ai giudici il giovane, in risposta ad alcune domande, ha dichiarato di non ricordare o di avere ricordi sbiaditi, prima di essere redarguito dal pm che lo ha invitato a dire la verità.
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